Sono passati 20 anni da quando l’Istituto San Raffaele di Milano ha fatto il primo intervento in Europa di terapia genica su un paziente, e finalmente potrebbe essere arrivato il momento in cui questo tipo di cure, in cui un gene che non funziona viene sostituito dalla sua copia corretta, esce dai test clinici per entrare negli ospedali. Il comitato per i prodotti medicinali (Chmp) dell’agenzia europea per i farmaci (Ema) ha dato parere positivo all’introduzione sul mercato di Glybera, un farmaco per una malattia molto rara dell’apparato digerente, che ora attende solo che il via libera della Commissione Ue sancisca il primato.
Il farmaco è usato per la cura della deficienza di un enzima fondamentale per la digestione dei grassi (lipoprotein lipasi). In uno o due soggetti su un milione il gene che codifica l’enzima non funziona, e costringe il paziente ad una dieta con appena il 20% dei grassi necessari. Nei casi più gravi, quelli per cui è stato approvato, i pazienti soffrono di pancreatiti ricorrenti. Dopo un primo no da parte dell’Ema lo scorso anno la Commissione Europea aveva chiesto una rivalutazione, che ora ha ottenuto parere positivo: “Abbiamo ristretto l’applicazione ai casi più gravi, e valutato nuovi dati clinici – spiega sul sito dell’Ema il direttore del comitato Tomas Salmonson – e stabilito che in queste condizioni i benefici superano i rischi”.
Nel mondo uno studio di quest’anno della rivista Journal of Gene Medicine ha censito 1714 sperimentazioni cliniche legate alla terapia genica, la maggior parte delle quali negli Usa, che però come l’Europa non ne hanno ancora approvata nessuna: “La decisione della commissione è fondamentale non solo per chi ha sviluppato il farmaco approvato e per i pazienti interessati, ma per chiunque sia coinvolto in questo tipo di studi – spiega Claudio Bordignon, che era a capo del team del San Raffaele e ora guida lo spin-off privato MolMed – è molto importante che ci sia una sensibilità anche da parte degli enti regolatori a queste tematiche. L’approvazione apre la strada anche ai molti altri farmaci in fase avanzata di sperimentazione”. A rendere estremamente caute le agenzie di tutto il mondo, fatta eccezione per la Cina e pochi altri paesi dove altre terapie geniche sono state già approvate, sono i possibili rischi legati all’uso di questi farmaci. Per portare il gene all’interno delle cellule si utilizza un virus, che in qualche caso può dare reazioni molto gravi. Inoltre ci sono stati pazienti che dopo aver ricevuto il farmaco hanno sviluppato una forma di leucemia.
Lo stesso Glybera ha avuto un iter tortuoso per l’approvazione, soprattutto a causa della rarità della malattia, e quindi dei pochi casi disponibili per valutarne la pericolosità. “Può sembrare che 20 anni siano tanti nel passaggio dalla sperimentazione all’approvazione, ma non è così – sottolinea Bordignon – questo tipo di terapie era completamente nuovo, e aveva bisogno di tempo per maturare, ma ora sono convinto che al Glybera seguiranno a ruota molti altri farmaci, sia per malattie rare, per cui sono l’unica speranza, che per altre più comuni, dall’Alzheimer all’Aids al cancro“.