Anche ieri, come spesso succede in Italia e nel resto del mondo, un treno con a bordo scorie radioattive in trasporto è stato oggetto di proteste da parte di manifestanti.
In questo caso, la lotta “no nuke” e la lotta “No Tav” si sono in qualche modo saldate, dato che la manifestazione più importante è avvenuta a Bussoleno, in Val Susa.
A Bussoleno, infatti, da mezzanotte in poi, si sono radunati alcune centinaia di manifestanti No Tav (parte di questi nel piazzale antistante la stazione ferroviaria) per manifestare contro il transito di un convoglio ferroviario di scorie nucleari in direzione della Francia.
Le due lotte sono “saldate” anche a livello di reazioni da parte delle forze dell’ordine: in contemporanea alla manifestazione di Bussoleno, all’interno del campeggio No Tav di Chiomonte è entrata una ruspa coperta alle spalle da un nutrito spiegamento delle forze dell’ordine, minacciando lo sgombero del campeggio. Una sorta di “prova di forza”, fortunatamente poi solo minacciata con avanzate e indietreggiamenti, ma alla fine non posta in atto.
Mettiamo da parte la cronaca e vediamo alcune delle ragioni che stanno dietro all’estremo disagio con il quale, e non solo ieri, le popolazioni accolgono questi trasporti.
I trasporti ferroviari di barre di combustibile nucleare verso la Francia sono frutto di un accordo siglato nel 2006 in base al quale una parte delle nostre barre di combustibile irraggiato viene inviata in Francia dove viene trattata in un procedimento chiamato “re processing” (riprocessamento), che consente di sperare elementi ancora utili, come uranio e plutonio, dal resto del materiale radioattivo, che viene alla fine inglobato in una matrice di vetro borosilicato per formare le vere e proprie “scorie”, che verranno restituite all’Italia.
Il riprocessamento riduce il volume delle scorie, sebbene la radioattività totale non venga diminuita di molto, e l’inglobamento in una matrice vetrosa ne dovrebbe ridurre l’intrinseca pericolosità, che permane tuttavia altissima.
A fronte di questi benefici, elenchiamo alcuni costi, di vario genere:
Il costo materiale dell’operazione è, per l’Italia, di 250 milioni di euro
Ad ogni trasporto si corrono inevitabilmente dei rischi, dovendo movimentare un materiale pericoloso come le scorie radioattive.
Questi rischi, a mio parere, vengono molto sottovalutati. I piani di emergenza sono insufficienti in sé, e insufficientemente implementati.
A parte alcuni scenari particolarmente catastrofici ma poco probabili, come ad esempio lo scontro con un’autobotte di benzina, oppure la caduta di un contenitore di barre in un corso d’acqua, con possibili contaminazioni radioattive aeriformi o acquatiche, lo scenario assai più probabile della “fermata imprevista” del convoglio con permanenza del materiale radioattivo in prossimità di centri abitati “causa manifestazione” è stata valutata con molto ottimismo: e questo è uno scenario che ha – indipendentemente dall’essere “pro” o “contro”, altissime probabilità di verificarsi, come abbiamo visto in questi anni.
Ho effettuato a questo riguardo delle valutazioni, e si può dimostrare come in caso di fermata prolungata imprevista la popolazione risulta esposta a dosi da radiazioni ionizzanti che possono superare il limite stabilito dalla legislazione italiana. Tale esposizione, del tutto ingiustificata secondo i principi di radioprotezione, è tale da costituire una causa di potenziale danno alla salute della popolazione esposta.
Sarebbe quindi obbligatorio adempiere alle disposizioni di legge, informando del rischio le amministrazioni dei comuni interessati al trasporto e informando la popolazione. Non credo sia una buona idea cercare di effettuare questi trasporti in segretezza. I risultati, come abbiamo visto, non sono buoni.
Davanti a tutto questo, due domande:
Ne vale davvero la pena? La quantità di scorie nucleari italiane non è grande, è davvero indispensabile il riprocessamento, operazione che ad esempio negli Stati Uniti non viene più effettuata da oltre 30 anni, anche per evitare che il plutonio che se ne produce possa avere utilizzi non civili ma bellici?
Non converrebbe, prima di intraprendere queste operazioni, predisporre finalmente un sito nazionale per il deposito delle scorie a bassa e media attività, che potrebbe ospitare anche temporaneamente le barre di combustibile esaurite, senza inviarle al riprocessamento? Quale razionalità sta dietro al correre questi rischi senza neppure avere un luogo dove ospitare le scorie che inevitabilmente ci verranno restituite dall’estero?
Una attenta valutazione costi-benefici andrebbe fatta a questo riguardo. La gestione della questione nucleare in Italia non ci ha mai visto, negli ultimi decenni, per utilizzare un eufemismo, in situazione di eccellenza. Forse, “puntare il dito” e reprimere i manifestanti “no nuke” significa “non vedere la luna” della gestione, tutt’altro che soddisfacente, ancora una volta, del nucleare in Italia.