Sembra poco credibile persino per essere un pesce d’aprile eppure è tutto vero: la Buma Stemra, società di gestione collettiva dei diritti d’autore è stata condannata da un Tribunale olandese per aver utilizzato, in uno spot antipirateria, musica pirata ovvero senza l’autorizzazione dell’autore.
“Non ruberesti mai una macchina, non ruberesti mai una borsa, non ruberesti mai un televisore, non ruberesti mai un film, scaricare da internet film piratati è come rubare, è contro la legge, la pirateria è un reato”, recita così lo spot antipirateria prodotto utilizzando un sottofondo musicale per il quale l’autore non ha mai ricevuto alcun compenso né prestato alcuna autorizzazione.
Lo spot, eppure, è stato diffuso in centinaia di migliaia di sale cinematografiche in tutto il mondo prima dell’inizio delle proiezioni, riprodotto su milioni di copie di dvd e, naturalmente, pubblicato online sui siti di tutte le principali società ed associazioni che, nel mondo, si occupano di difendere l’industria dei contenuti audiovisivi dalla pirateria.
Secondo il Tribunale di Amsterdam, tuttavia, nello spot viene utilizzata musica per la quale l’autore ha autorizzato l’uso, una sola volta ed in relazione ad un evento live, scoprendo, solo successivamente, che la sua musica veniva, invece, utilizzata attraverso decine di canali di diffusione diversi.
E’ uno smacco con pochi precedenti per il mondo dell’antipirateria che ora, inesorabilmente, proverà a minimizzare e mettere tutto a tacere.
Ma il fatto resta e rappresenta la migliore conferma che, evidentemente, l’attuale disciplina che regola la circolazione dei diritti d’autore sui contenuti audiovisivi è inadeguata rispetto alla velocità e magmaticità del contesto digitale e telematico nel quale le opere sono prodotte e utilizzate.
Tanto inadeguata che persino un esercito di società specializzate nell’antipirateria e nella gestione e collezione dei diritti d’autore si ritrovano ad utilizzare musica senza l’autorizzazione dell’autore e senza essersi preoccupati di garantire a quest’ultimo il pagamento di alcun compenso.
Se così non fosse, bisognerebbe pensare che il mondo dell’antipirateria è così tanto poco coerente e fedele ai principi che promuove da aver scelto, consapevolmente, di utilizzare musica pirata o credendo che per una manciata di secondi non valesse la pena di pagare il conto o, peggio ancora, che il conto sarebbe stato troppo salato rispetto al ritorno perseguito con la produzione del video.
Comunque la si metta, la storia non può non far riflettere e dovrebbe spingere il mondo dell’antipirateria – da domani – a guardare con maggior rispetto alle eccezioni sollevate da quanti, da anni, sostengono che la colpa del diffuso utilizzo abusivo di contenuti protetti da diritto d’autore è anche – e forse soprattutto – della straordinaria confusione che regna nel sistema della circolazione dei diritti tanto in relazione al regime dei diritti che alle modalità per garantirsene, in modo lecito l’utilizzo.
Sarà ora divertente vedere se – come sarebbero corsi a chiedere a qualsiasi gestore di sito internet che fosse stato pizzicato a diffondere un video con sottofondo pirata – le società di gestione dei diritti, le associazioni antipirateria ed i produttori audiovisivi si affretteranno a ritirare dal mercato e dalla circolazione i milioni di copie pirata dello spot in questione.