Finalmente scoperti ed esposti al pubblico ludibrio mandanti ed esecutori dello sciagurato complotto. Lo scoop si deve a Eugenio Scalfari che su Repubblica di domenica 22 luglio comunica: “L’attacco in corso contro il presidente della Repubblica persegue un fine di destabilizzazione al tempo stesso istituzionale e politico. Vuole colpire Napolitano e indebolire Monti. Non a caso è portato avanti da gruppi e persone che mettono sotto accusa sia Napolitano sia Monti: Grillo, Di Pietro, i giornali berlusconiani, Il Fatto Quotidiano”. “Manipolazione di marca eversiva”, addirittura.
A parte la stravagante compagnia (mancano solo le Br e Batman), se l’autore fosse stato chiunque altro avremmo scherzato ancora su frasi e accuse che ricordano il Fodria (Forze Oscure Della Reazione in Agguato), l’acronimo coniato nel dopoguerra per sfottere le paranoie della sinistra. Ma Scalfari è Scalfari e qui la questione si fa seria. Perché tra i tanti meriti del fondatore di Repubblica c’è sicuramente quello di aver scompigliato lo stile paludato e riverente della stampa italiana nei confronti di tutte le razze padrone, comprese quelle che siedono sui fatali colli di Roma. A metà degli anni 60 sull’Espresso da lui diretto si potevano leggere parole severe sull’“atteggiamento ossequioso della stampa italiana nei confronti del presidente della Repubblica” (allora era Saragat) che “tradisce un concetto dei rapporti fra i doveri dell’informazione e l’autorità che a giusta ragione potrebbe essere definito ‘spagnolesco’ e comunque ben lontano da quella immagine di paese moderno che la stessa stampa italiana tende compiacentemente ad accreditare”.
Per carità, mezzo secolo dopo Scalfari ha tutto il diritto di aver cambiato opinione sull’atteggiamento ossequioso che si deve o non si deve tenere nei confronti dei capi dello Stato. Alla luce però della totale condivisione e approvazione (non diremo “spagnolesca”) da parte di Scalfari del discutibile comportamento del Quirinale (sulle imbarazzanti telefonate intercorse tra l’ex ministro Mancino e il consigliere D’Ambrosio e sul conflitto promosso da Napolitano presso la Consulta contro la Procura di Palermo) è lecito chiedersi se egli, Scalfari, abbia maturato un nuovo concetto dei rapporti “tra i doveri dell’informazione e l’autorità”. Con l’autorità che ha sempre e comunque ragione. Mentre i doveri dell’informazione devono semplicemente consistere nel mettere alla gogna e nell’accusare di “eversione” chiunque canti fuori dal coro.
Il Fatto Quotidiano, 24 luglio 2012