Secondo la corte del nuovo appello, le dichiarazioni dell'ex premier non sarebbero "né indispensabili né decisive". Il procuratore Patronaggio: "In primo grado si era avvalso della facoltà di non rispondere, importante sentirlo". Cicchitto: "Tentativo di coinvolgere il Cavaliere nella trattativa-Stato-mafia"
Le dichiarazioni di Silvio Berlusconi non sono “né indispensabili né decisive”. Con queste motivazioni i giudici del processo d’appello bis contro Marcello Dell’Utri, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa, hanno respinto la richiesta avanzata dalla pubblica accusa, che voleva chiamare in aula l’ex presidente del consiglio. Ma la sua testimonianza, secondo la corte presieduta da Raimondo Lo Forti, non è rilevante ai fini della sentenza.
Il processo Dell’Utri è ricominciato in appello dopo che la corte di Cassazione ha annullato con rinvio la precedente sentenza che condannava il senatore e storico braccio destro di Berlusconi a sette anni di reclusione.
I motivi della presenza del boss Vittorio Mangano ad Arcore e i pagamenti fatti da Berlusconi a Cosa nostra negli anni ’70 sono già “ampiamente comprovati”, hanno argomentato i giudici respingendo al richiesta. A presentarla era stato questa mattina il procuratore generale Luigi Patronaggio. Il rappresentante dell’accusa ha ricordato che Berlusconi era stato citato già nel processo di primo grado, ma essendo all’epoca indagato di reato connesso aveva potuto avvalersi della facoltà di non rispondere (esercitata nel 2002 a palazzo Chigi, dove l’intera corte si era trasferita per sentirlo mentre era presidente del Consiglio). Convocato oggi come testimone, non si sarebbe invece potuto sottrarre alle domande. Per i giudici, però, dall’ex premier non potrebbero in ogni caso venire elementi di rilievo e pertanto è inutile citarlo.
“L’ordinanza della Corte si è molto attenuta ai criteri della Cassazione e ha delimitato moltissimo l’oggetto della prova”, ha commentato Patronaggio. “Incombe il pericolo della prescrizione, specie se risulterà l’interruzione della condotta ascritta a Dell’Utri”. La Cassazione, infatti aveva ritenuto pienamente accertata la collaborazione di Dell’Utri con Cosa nostra, ma soltanto fino al 1977, data per la quale il reato è già abbondantemente prescritto. Da qui il rinvio a un nuovo appello, con la richiesta ai giudici di fornire motivazioni più solide per quanto riguarda gli anni successivi, e in particolare il quinquennio 1977-1982, nel quale il futuro presidente di Publitalia lasciò Berlusconi per andare a lavorare con il discusso finanziere Filippo Alberto Rapisarda.
La corte invece ammesso come teste soltanto il bancario Giovanni Scilabra, il quale ha riferito che nel 1986 Marcello Dell’Utri e l’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, andarono a trovarlo nel suo ufficio per discutere di prestiti. Scilabra sarà sentito nella prossima udienza, fissata per il 3 ottobre. L’episodio risale al 1986. Dell’Utri, che oggi non era presente in aula, lo ha sempre negato e ha sporto querela contro il bancario. Il processo è attualmente pendente davanti al Tribunale civile di Roma.
Tra le richieste respinte dalla Corte, anche quella di convocare il pentito Giovanni Brusca perché parlasse della trattativa Stato-mafia. I giudici, che hanno sottolineato come su questo punto le dichiarazioni del collaboratore siano apparse contraddittorie, hanno disposto di acquisire i verbali di Brusca limitatamente alle parti relative alle estorsioni ai danni di Berlusconi. No anche alla citazione dei boss di Brancaccio, Giuseppe e Filippo Graviano, e del pentito Stefano Lo Verso.
La difesa di Marcello Dell’Utri definisce la decisione della corte “molto equilibrata”, ma la polemica si sposta sul fronte politico. “Non siamo sorpresi – visto che è guidata dal dottor Ingroia – dall’operazione che si sta tentando di fare a Palermo: quello di estendere all’equilibrio politico attuale la vicenda riguardante la cosiddetta trattativa stato-mafia”. E’ la dichiarazione di Fabrizio Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera, che aggiunge: “Che cosa hanno in comune Conso e il governo di cui era ministro con Dell’Utri qualcuno ancora ce lo deve spiegare. Dato e non concesso che ci sia stata questa trattativa nel ’92-’93, essa poteva riguardare solo chi aveva il potere politico, giudiziario e poliziesco in quell’epoca. Ciò non era certo il caso né di Dell’Utri né di Berlusconi. Quale aria tiri è dimostrato dal titolo di oggi dell’Unità che dà già per scontato il coinvolgimento di Berlusconi”.