Per l'ex presidente della Commissione parlamentare antimafia il latitante arrestato è il simbolo di "un potere parallelo che ha come cono d'ombra la massoneria". Al centro dell'inchiesta anche le relazioni con Ior e Santander e i brogli elettorali in Venezuela alle ultime politiche
A Caracas c’era la vera segreteria politica della cosca Piromalli. L’ex presidente della Commissione parlamentare antimafia, Francesco Forgione, non trattiene la sua soddisfazione per l’arresto di Aldo Micciché, il latitante arrestato nella capitale venezuelana dove è stato raggiunto da un mandato di cattura internazionale emesso dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria nell’ambito dell’inchiesta “Cento anni di storia”. Per il calibro del personaggio e per i suoi contatti con la politica, la cattura di Micciché è uno dei colpi più duri alle cosche calabresi.
Un profilo dettagliato del personaggio lo ha tracciato Forgione nel suo libro “Porto Franco” dedicato a tutte quelle storie che attraversano la Piana di Gioia Tauro e il suo porto, crocevia di mezzo secolo di storia repubblicana e territorio in cui i Piromalli hanno rappresentato il passato, rappresentano ancora il presente e hanno creato tutte le condizioni per rappresentare anche il futuro. Sono pesanti le parole usate da Forgione per descrivere Micciché a poche ore dal suo arresto. “Questo non è il solito trafficante di droga internazionale al quale la ‘ndrangheta ci ha abituati. – è l’analisi dell’ex presidente della Commissione antimafia – Siamo di fronte a un potere parallelo che tiene insieme politica e affari in una dimensione internazionale e ha come cono d’ombra la massoneria. Questo ha garantito ad Aldo Micciché 20 anni di impunità e gli ha consentito di attraversare, con un potere parallelo, prima e seconda repubblica. Ciò tiene insieme tutte le sue relazioni di origine democristiana con gli affari e i rapporti politici che ruotano attorno a Marcello Dell’Utri. Questa è la parte più inquietante perché parliamo del 2008 e non di vecchi rapporti con Cosa nostra”.
Rapporti ricostruiti dettagliatamente nelle numerose informative inserite nel fascicolo del processo “Cento anni di storia”. Mani sporche di sangue che si incrociano con mani che hanno toccato soldi di dubbia provenienza. Storie raccontate non dai “pentiti, ma dagli stessi protagonisti con le intercettazioni della squadra mobile di Reggio Calabria. Questo è un salto di qualità che i Piromalli producono”. Sono tre, per Forgione, le direttrici delle indagini sull’ormai ex latitante originario di Maropati, in Calabria, da dove è partito per costruire una vita fatta di relazioni “pericolose”: “Stiamo parlando del sistema degli affari delle società miste di Dell’Utri e Micciché per l’acquisto di gas e petrolio per conto di società legate alla Gazprom, ma anche dei rapporti per l’acquisto di società venezuelane intestate ai figli di entrambi. Soltanto nel 2008, il figlio di Dell’Utri stava a casa di Micciché per mettere a punto gli affari”. E poi c’è la vicenda che ha registrato il coinvolgimento della “responsabile esteri del Pdl, Barbara Contini, ora moralizzatrice finiana, che doveva fare le liste del Popolo della Libertà in Sudamerica per le elezioni del 2008. Era ospite nella villa di Caracas del latitante calabrese”.
Potere, impunità e omissioni. Se dovessimo dare un titolo alla vita di Micciché, potrebbe essere questo. Forgione ne è convinto e non risparmia nessuno ponendo una serie di interrogativi: “Bisogna capire il perché la Procura di Roma, in questi anni, ha insabbiato l’inchiesta visto che dalle intercettazioni è emerso che, nel 2008, Micciché raccontava a Dell’Utri, che approvò entusiasta, i brogli elettorali e la distruzione delle schede in Venezuela. L’ultimo importante capitolo è il ruolo di Micciché come terminale di informazioni che partivano da settori della magistratura e delle forze dell’ordine reggine, arrivavano a Caracas per poi essere trasmesse dal latitante agli uomini dei Piromalli che venivano informati delle intercettazioni e delle cimici piazzate nelle loro macchine. Tutto questo è registrato”. Domande che attendono, adesso, più di una risposta. É necessario fare chiarezza, inoltre, su quello che l’ex presidente dell’Antimafia definisce “il grumo di affari che riconduce Micciché allo Ior e alla banca Santander. Affari che hanno come sfondo sempre la massoneria e settori deviati dello Stato e della politica. Ora bisogna fare in modo che Micciché arrivi subito in Italia e che dalla Procura di Reggio Calabria e dalla Procura di Roma si vada avanti in questo insieme di sistemi che fanno di Micciché non un faccendiere e nemmeno un classico boss della ‘ndrangheta ma una delle espressioni più alte del potere parallelo che la ‘ndrangheta ha costruito nel corso degli anni, fino a sostituirsi nel rapporto con una figura come Dell’Utri al ruolo storico di Cosa nostra”.