Minaccia o violenza a corpo politico dello Stato. È l’accusa dei pm di Palermo che, nell’inchiesta sulla trattativa, ieri hanno chiesto il rinvio a giudizio per sei uomini dello Stato e altrettanti di Cosa nostra. Silenzio della politica e dell’“ermo Colle”, ha osservato Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano di oggi.
Eppure, la trattativa, assieme di tre momenti, tre passaggi correlati, funzionali, organici, dell’alleanza mortale fra Stato e mafia, è stata negata a oltranza da onorevoli, giornalisti e voci onnipresenti.
Per anni, abbiamo sentito il coro d’una falsa destra sui “giudici comunisti” e, a compendio, le sortite pseudogarantiste d’una finta sinistra, che dall’altra sponda ha delegittimato l’azione penale, obbligatoria, rivolta a suoi membri. Si ricordi, per tutte, la vicenda dei “furbetti del quartierino”, con intercettazioni, fra gli altri, nei confronti di Massimo D’Alema, Piero Fassino e Nicola Latorre.
Leonardo Sciascia, “di spirito profetico dotato” come Gioacchino Fiore, scrisse che “ci sono in molti paesi delle fratellanze, specie di sette che diconsi partiti”. Ai tempi dello scrittore di Racalmuto (Ag), però, le convergenze degli opposti nella comunicazione pubblica non erano quelle di oggi. Negli anni, demolire la magistratura è diventato un esercizio necessario, a destra come a sinistra. E sappiamo quali ne siano stati ribalte e canali, nella tv privata e pubblica.
Prima dell’arrivo a palazzo di Berlusconi, Vittorio Sgarbi iniziò su Canale 5 l’alzo zero contro Giancarlo Caselli, Agostino Cordova, il dimenticato protagonista dell’inchiesta sulla massoneria italiana, e i magistrati che accusarono Bruno Contrada (in archivio Mediaset, nda); ex superpoliziotto nel quadro della trattativa e a casa per malattia, benché condannato in Cassazione. In crescendo, poi, ogni spazio, scandalosamente anche del servizio pubblico, venne utilizzato per screditare toghe e penne alla ricerca della verità. Non so quanti politici o prime firme siano intervenuti per difendere dagli attacchi subiti Ferruccio Pinotti e il sostituto Luca Tescaroli, autori di Colletti sporchi, libro su enigmi chiave della vicenda Stato-mafia.
Travaglio ha ragione a rilevare il silenzio assordante e doloroso rispetto alla richiesta, di ieri, dei pm di Palermo. Un silenzio che conferma le alleanze metaelettorali in seno alla politica, bisognosa di autoalimentarsi e resistere a incontrollabili moti di cambiamento. Non si scordi lo scenario, presente e futuro, prospettato fuori dell’Italia e dentro: lo spread che s’impenna, la paura generale della fine e, come sbocco, l’accettazione d’ogni taglio disumano. Rispetto al passato, il fenomeno nuovo è che con Monti – imposto da Napolitano e retto da una maggioranza trasversale, coesa nel difendere l’impossibile – nulla si può più dire e scrivere. È obbligatorio il silenzio. Ne sa qualcosa Antonio Di Pietro, che, per aver chiesto al presidente Napolitano di spiegare le telefonate di Mancino, s’è ritrovato all’angolo, isolato anche intra moenia.
Ci sono, allora, più silenzi fragorosi: uno lunghissimo sulla trattativa; uno, con eccezioni, di parlamento e stampa sulla complessiva review di Monti; uno, della politica, sulle conclusioni dei pm di Palermo. E c’è il silenzio di fatto, senza nostre congetture, di Napolitano.