Un dato su tutti. Martedì Madrid ha collocato in asta obbligazioni a brevissima scadenza accordando un interesse del 3,69% sui titoli semestrali e del 2,43 su quelli a durata trimestrale (nell’aprile scorso l’ultimo interesse accordato in asta dall’Italia su un titolo a tre mesi è stato pari all’1,25%). Oggi, la Germania ha realizzato la sua asta sui titoli in scadenza nel 2042 concedendo agli investitori un rendimento pari al 2,17%, la quota più bassa dal 1994. In linea puramente teorica (i titoli vengono tipicamente liquidati prima sul mercato secondario), dal punto di vista degli operatori prestare soldi a Berlino da qui ai prossimi 30 anni è giudicato meno rischioso che depositarli nelle casse spagnole da qui a tre mesi.
La fotografia del disastro è più o meno tutta qui. A questo, però si aggiunge anche Moody’s, che rivede in negativo l’outlook di 17 banche tedesche, dopo l’analoga decisione sul rating della Germania. Gli istituti di credito sono quelli sostenuti dallo Stato federale o dai lander e tra questi ci sono anche Deutsche Postbank e Bayerische Landesbank.
Le borse ieri tendevano al rimbalzo e il bund decennale tedesco risale nei rendimenti dando un po’ di ossigeno agli spread italiani e spagnoli. Ma si tratta, in definitiva, di una lievissima e trascurabile altalena in un contesto che, per il momento, vede l’effetto “rifugio” prevalere ancora sui dubbi di Moody’s e i poco confortanti dati macroeconomici. Come a dire: la Germania ha i suoi motivi di preoccupazione ma il confronto con i guai della periferia continua a premiarla sul mercato più di quanto suggeriscano i suoi fondamentali.
E sì. Perché pur conservando la sua solidità di fondo, la locomotiva teutonica sta rallentando in modo visibile. L’indice della fiducia degli imprenditori tedeschi elaborato dal centro di ricerca Ifo è calato nel corso dell’ultimo mese da 105,3 a 103,3 punti facendo registrare dunque il livello più basso dal marzo 2010. Lo stesso Ifo, ricorda oggi il Daily Telegraph, prevede inoltre che nel corso del terzo e del quarto trimestre dell’anno, l’economia tedesca crescerà appena dello 0,1% segnando dunque una sostanziale stagnazione tecnica. In questo contesto, sostiene ancora l’istituto, la Germania dovrebbe farsi carico, in caso di bancarotta greca, di un costo pari a 88,7 miliardi (escludendo dal conto le perdite dei creditori privati tedeschi). Un’uscita di Atene dall’euro, invece, ridurrebbe le perdite tedesche a 82,2 miliardi. Una differenza abbastanza ridotta ma sufficiente, forse, ad alimentare ulteriormente i sentimenti rigoristi di una certa corrente di pensiero all’interno del Bundestag.
In attesa di valutare il clima attorno alla Germania una cosa appare comunque certa. Di fronte all’aggravarsi della crisi spagnola la carenza di liquidità del fondo salva-Stati (Esm), si fa sempre più palese tanto da suggerire una modifica fondamentale della sua struttura. L’ipotesi l’ha avanzata, con molta cautela, il governatore della banca centrale austriaca Ewald Nowotny (che dell’Eurotower è anche consigliere): l’Esm, ha precisato in un’intervista a Bloomberg, potrebbe ottenere una licenza bancaria, ovvero la possibilità di rifornirsi presso la Bce. Un sistema semplice per ottenere immediatamente un maggior potenziale di fuoco rispetto ai 500 miliardi attualmente a disposizione per garantire un futuro più stabile a Spagna e Italia (i cui debiti, sommati, valgono circa 2.800 miliardi di euro).
Nowotny ha espresso cautela sottolineando che l’argomento non è attualmente in discussione presso l’istituto centrale e confermando l’intenzione della stessa Bce di continuare, per ora, ad astenersi dall’acquisto dei titoli sul mercato secondario (una moratoria de facto che dura da ormai 19 settimane). Le sue parole tuttavia finiscono per aprire una breccia nel muro eretto a suo tempo da Angela Merkel, da sempre contraria a un’espansione delle capacità del fondo. Una breccia particolarmente significativa anche e soprattutto rispetto ai rumors rilanciati oggi dallo spagnolo El Economista. La Germania, sostiene il quotidiano iberico, starebbe sollecitando Madrid ad avanzare una richiesta formale di salvataggio da 300 miliardi di euro all’Europa. L’ipotesi,a questo punto, è il Paese non sia materialmente in grado di sopravvivere alla tensione del mercato senza ricorrere all’aiuto esterno.