Un anno fa tornavo in Cina dopo quattro anni e mezzo. Dovevo stare un paio di mesi, sono stata un anno. Scrivevo agli amici:
“Pechino ci accoglie con un piccolo treno metropolitano che dall’aeroporto ci porta dritti al centro: Dongzhimen Wai. Nel 2007 stavano ancora costruendo la stazione. Il quadrante nordorientale, il quartiere delle ambasciate, è trasfigurato. I cantieri che spazzavano via gli hutong e la vita paesana di chi li abitava hanno lasciato posto a nuovi grattacieli; le strade sono meno congestionate. Saranno le cinque nuove linee della metro”.
E il giorno seguente:
“Ci svegliamo tardi. La televisione dei vicini gracchia l’Internazionale. È il primo luglio, novantesimo compleanno del Partito. Il cielo è grigio, ma non fa caldo. Prima dell’alba ha piovuto: nitrato d’argento nell’atmosfera e la festa è assicurata.
Prendiamo un caffè con vista sulla torre del tamburo e cominciamo a passeggiare lungo i laghi. Li seguiamo lentamente verso sud. La nostra meta è Tian’anmen. Lungo le sponde di Hohai ancora più locali di una volta, se possibile, e pedalò affittati da cinesi in visita alla capitale.
Non faccio in tempo a rimpiangere i vecchi che si facevano il bagno in questo grande stagno carico di storia che li vedo: cuffie e occhialetti che gareggiano per arrivare all’altra sponda. Avranno almeno settant’anni! E poi ancora chi pesca (mai mangiare pesci di piccola taglia a Pechino, mi appunto mentalmente) e chi si tuffa al volo per acchiappare una tartaruga per la figlia. E gli immancabili raccoglitori di alghe che riempiono i camion.
Eccola la Pechino in via d’estinzione: signori con la pancia scoperta o a torso nudo e signore in pigiamino; tavoli di domino, majong e weiji che attirano capannelli di gente; bambini senza pannolino ma con un comodo spacco sulla tutina.
Arriviamo a Tian’anmen. Controlli, metal detector e polizia in segway. Due maxischermi giganti trasmettono a ripetizione le bellezze della Cina e inquadrano un medaglione rosso: 1921-2011, 90° anniversario.
Attraversiamo la piazza più grande del mondo, voglio arrivare a Qianmen, la porta a sud di Tian’anmen che dà – dava – sugli hutong più belli e più veri di Pechino. Si apre di fronte ai nostri occhi una scenografia. Ricostruzioni in materiali scadenti di antichi palazzi a due piani illuminati da neon e marchi stranieri: McDonald’s, Haagen Dazs e boutique. C’è anche un binario che corre per meno di cento metri e un vagone finto antico parcheggiato in un angolo”.
E un mese più tardi:
“Cosa lascio, cosa trovo. Lascio lascio un lavoro da segretaria, part time. Lascio gli insegnamenti a tempo determinato, le classi di adolescenti focosi. Lascio gli impieghi atipici, i curricola che non ricevono risposta. Lascio l’ansia dei soldi che non bastano mai (pensavo, ma questa era un’illusione!) e un motorino appena acquistato. Lascio il cielo limpido di Roma e amici, conoscenti e parenti di tutta una vita.
Trovo una metropoli in continua evoluzione, una città senza cielo che parla una lingua che non smetterò mai di studiare. Trovo l’inquinamento che ti schiaccia a terra e la sfida di un lavoro che ho sempre voluto fare. Gente che continuamente va e viene. E – aggiungo oggi – l’ansia dei migranti del terzo millennio: il senso di precarietà dovuto alla necessita del visto sul passaporto, l’affitto che sale in un anno del 25 per cento, la sensazione di essere appeso a una macchina burocratica che non capirai mai fino in fondo.
Lascio per qualche anno l’idea di respirare a pieni polmoni l’aria buona, lascio l’idea che in fondo si può campare anche correndo da una parte all’altra e cambiando cervello più volte al giorno. Lascio l’idea che tutto si aggiusta, basta pazientare. Sarà faticoso, ma diciamo che l’Italia non si muove. Almeno per il momento.
Trovo i chilometri in bicicletta, l’afa che ti schiaccia e l’aria condizionata che ti ammala. Poi gli stimoli che ti vengono da ogni parte. Continuare a imparare. Il nome di una verdura quando vai a fare la spesa, come rapportarsi a persone di tutte le classi, ambienti diversi… Cercare di costruire qualcosa con le proprie forze”.
Torno in Italia per il mese di agosto a godere di mare, campagne, montagne e cibo fresco. Ma i miei conti li ho già fatti: a settembre sarò di nuovo qui.
E nel frattempo leggerò: Xue Xinran, Le testimoni silenziose (Longanesi. 2012); Davide Cucino, Tra poco la Cina (Bollati Boringhieri, 2012); Chan Ho Kei, Duplice delitto a Hong Kong (Metropoli d’Asia, 2012). E non mi stancherò di rileggere: Emma Lupano, Ho servito il popolo cinese (Brioschi, 2012).