Se un tempo “la politica vinceva su tutto”, per Pietro Ingrao gli eredi del Pci – divenuto Pds, Ds e Pd in un percorso partito con la svolta della Bolognina del 1989 e passato attraverso lo scioglimento del 1991 – risentono di un peccato originale: aver creato una “scatola vuota” che di nuovo ha solo il nome. Viene raccontato nel documentario Non mi avete convinto, del giornalista ferrarese Filippo Vendemmiati, che aggiunge: “Temo che oggi, per buona parte della sinistra, il problema nasca da lì, dalla scatola, che non è mai stata riempita di contenuti”, a iniziare dal tema del lavoro che, se tralasciato, “svuota di senso la parola sinistra”.
Vendemmiati – già autore del docufilm È stato morto un ragazzo su Federico Aldrovandi, il diciottenne di Ferrara per la cui morte sono stati condannati in via definitiva 4 agenti di polizia – presenterà il suo lavoro a Venezia, nel corso delle “Giornate degli Autori – Venice Days 2012”, in programma dal 30 agosto all’8 settembre. Non mi avete convinto, titolo che riprende un intervento-strappo di Ingrao con il Pci del 1976, è agli ultimi stadi del montaggio e ha richiesto il secondo semestre del 2011 per le attività di ricerca. Poi, da gennaio a giugno, si è entrati nella vera e propria fase di produzione, con le interviste a Ingrao, ma anche con le visite “per fare due chiacchiere”, dice l’autore, “per mostrargli lo stato di avanzamento dei lavori o per vedere una partita di calcio, come accaduto con l’incontro Italia-Croazia durante i recenti mondiali”.
Ingrao, nato nel 1915 a Lenola, in provincia di Latina, è divenuto prima partigiano, poi direttore dell’Unità fino al 1957 e in seguito parlamentare per il Pci, trasformandosi in figura storica della sinistra italiana, ha voluto seguire l’evoluzione del lavoro di Vendemmiati nei suoi diversi aspetti. Tanto che la colonna sonora, composta dai Têtes de Bois, gli è stata fatta sentire dal vivo a casa sua, con il gruppo due volte vincitore del Premio Tenco che lì ha portato gli strumenti e lì l’ha eseguita.
Perché un documentario che ha Pietro Ingrao come protagonista?
“Ingrao è stato per la mia generazione, per me sicuramente e per la mia formazione, un modello politico straordinario. Me lo sono portato dietro per tutta la vita e forse in questo periodo di antipolitica, peraltro giustificata, era necessario riscoprire un uomo che ha incarnato, pur tra errori e sconfitte anche clamorose, un’idea di politica come passione, tormento ideale, modo per trasformare il mondo”.
Per raccontare la politica dal punto di vista di Ingrao, che parole userebbe?
“Uso le sue. Per lui la politica è stato un modo di vivere molto intrecciato al suo modo di intendere la vita in famiglia. Ciò che poi più mi ha colpito è che si porta ancora dentro l’idea di una politica come battaglia continua, una lotta dura fatta di episodi anche violenti, dolorosi. Questa battaglia la combatté soprattutto all’interno del suo partito, ma non abiurò mai alla scelta che fece, fare politica”.
Quali sono stati alcuni di questi episodi che lo hanno caratterizzato come uomo e politico?
“Il primo momento fondamentale è stato la guerra di Spagna, il risveglio della sua coscienza. Prima voleva fare il regista, studiò per un anno al Centro sperimentale di cinematografia di Cinecittà, lavorò con Luchino Visconti e nel film questa sua passione è raccontata. Poi la guerra di Spagna gli ha imposto una scelta. In seguito ci sono state altre tappe importanti, alcune molto dolorose, come l’invasione dell’Ungheria nel 1956. L’aver allora appoggiato la repressione sovietica anche con un articolo sull’Unità intitolato Dall’altra parte della barricata Ingrao lo definisce l’errore più clamoroso della sua vita. Altra tappa è stato l’intervento nel 1976, al congresso del Pci a Roma, e lì pronunciò la celebre frase ‘cari compagni, non mi avete convinto’ da cui il documentario prende il titolo. Fu la prima espressione di dissenso aperto di un comunista che usciva dalla prassi del centralismo democratico”.
Che cosa significò quello strappo?
“Ancora oggi lui descrive momenti di grande emarginazione e violenza non solo politica, ma anche fisica. Racconta che Giorgio Amendola ai tempi voleva mettergli le mani addosso. Fu la figlia di Ingrao a scrivere a macchina l’intervento, per paura che in qualche modo lui potesse essere identificato, non so come. Poi ce ne sono tanti altri: l’espulsione del gruppo del Manifesto con cui Ingrao è rimasto molto collegato, l’esperienza come presidente della Camera fino alla decisione di non ricandidarsi contro il partito che invece lo rivoleva per il secondo mandato al vertice di Montecitorio. Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta scelse di uscire dalle istituzioni e tornare alla politica attiva dove studiare una nuova lingua dell’alternativa. Questo rifiuto lo condannò di nuovo all’emarginazione”.
In seguito che accadde?
“Ci fu l’uscita dal Pds perché non condivideva la svolta di Achille Occhetto e negli anni Duemila Ingrao divenne uno dei capi carismatici delle giovani generazioni e dei movimenti della pace. L’uscita pubblica più recente, l’ultima, è nel 2005 a una manifestazione della sinistra, e anche lì partecipò a suo modo dicendo dal palco: ‘Tutti questi partiti a sinistra non mi convincono. Dovete unirvi’”.
Nel film è raccontata anche la figura della sorella Giulia.
“Sì. Giulia fa da controcanto umano e passionale a Pietro. Lei ha 90 anni, una forza intellettuale e critica che la fa sembrare più giovane di due decenni e vede suo fratello come un uomo che ha mal sopportato gli apparati e descrive Pietro dal lato dei sentimenti. Questo confronto tra i due è efficace dal punto di vista narrativa e rende bene anche la complessità familiare del personaggio. Ingrao ha 5 figli, molti nipoti e una famiglia allargatissima. Con loro è stata impostata una lunga discussione su come realizzare il film perché volevano evitare il rischio di farne il santino dell’ultimo comunista. A valle del lavoro, dicono che il rischio non si è materializzato”.
In merito al materiale di repertorio, c’è qualche inedito?
“Il repertorio proviene da Istituto Luce Cinecittà che distribuisce e produce con la Tomato Doc & Film il documentario. Gli altri materiali arrivano dall’Aamod, l’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, dalle Teche Rai e poi ci sono citazioni cinematografiche. Infine, fattore interessante, c’è tutto ciò che di inedito proviene da archivi privati. Da qui abbiamo preso le fotografie e le registrazioni di comizi. Uno è del 1968 in piazza della Signoria, a Firenze, e un altro del 1979, nel periodo in cui Ingrao era presidente della Camera, al quinto anniversario della strage di piazza della Loggia, a Brescia, avvenuta il 28 maggio 1974. Quest’ultimo rappresenta uno dei passaggi più efficaci del documentario, una vera e propria lezione di storia”.
Osservando la politica di oggi, a sinistra ma non solo, che visione ne ha Ingrao?
“Su questo abbiamo mantenuto una giusta distanza perché non volevamo utilizzare Ingrao come una clava contro il presente. Ovviamente ha una visione molto critica. A livello più generale la sua considerazione principale riguarda il fatto che oggi la sinistra non considera con sufficiente attenzione il problema del lavoro. Per lui, se la sinistra non si occupa di chi lavora, della perdita del posto, della formazione, non capisce davvero più cosa significa la parola sinistra”.