Le parole hanno sempre un peso. Possono condizionare perfino le immagini, immediate. Espressioni evocative suppliscono, oggi, alla correttezza strutturale e logica delle proposizioni linguistiche, alla loro chiarezza. Non importa che le frasi siano ordinate, basta che contengano parole ad alto potenziale emotivo, tipo “sole, cuore e amore” di Valeria Rossi o “senso di responsabilità”, del trio ABC, nella paura di questi tempi.
Il linguaggio è scaduto, si dice, e per l’accelerazione della vita si comunica con simboli, icone, foto, video. La tecnologia ha fatto la sua, ovviamente.
Ci sono casi, però, in cui la suggestione delle sintesi, resa dalle immagini, è mediata, amplificata dalle parole. Ieri, Il Corriere della Sera ha pubblicato in home page un video dell’Italia dei Valori in cui appaiono Monti, Bersani, Alfano e Casini come zombie. Antonio Di Pietro aveva definito “maggioranza di zombie” il governo e i suoi sostenitori.
C’è voluta una traduzione videografica perché scoppiasse il caso, all’apice della dialettica sulle alleanze elettorali, legata alle telefonate di Mancino al Quirinale. Soprattutto, è stato decisivo il vocabolo “choc”, con cui Il Corriere ha definito il breve filmato. Se il termine l’avesse utilizzato il blog di un nessuno come me, l’effetto sarebbe stato minimo. Anche, s’intende, per le minori condivisioni, l’impatto in rete.
Due anni fa, parlando alla Camera, Di Pietro chiamò Berlusconi “stupratore della democrazia”. Ne seguì una forte polemica, che tralasciò il resto del discorso. Lì, alla sua maniera, Di Pietro sintetizzò la storia delle fortune di Berlusconi. Per raccontarla, sappiamo, ci sono voluti pile di libri, fiumi d’inchiostro, milioni di confronti. Allora Di Pietro chiamò in causa la responsabilità dei deputati. Li ritenne complici dell’ascesa e stabilità del Cavaliere, per il silenzio, l’immobilismo o l’appoggio parlamentare. Era quello, e non il motto “stupratore della democrazia”, il punto politico dell’intervento. Berlusconi cadde solo due anni dopo, e per lo spread e il ruolo di Napolitano.
Dunque, le parole possono orientare la percezione collettiva delle immagini: a volte non è scioccante di per sé una sequenza video. Lo diventa, se qualcuno, importante, forte, la qualifica come tale. È il vecchio gioco della distrazione, che serve a sottrarre alla critica le vere questioni.
Dopo la morte di Loris D’Ambrosio, suo consigliere, il presidente della Repubblica ha dichiarato: “È stato esposto a insinuazioni ed escogitazioni ingiuriose”. D’Ambrosio ricevette le chiamate di Mancino. Uscita la notizia, le domande e richieste politiche – non partitiche – sono state indirizzate a Napolitano. Poi scontri: mai sul punto, cioè il contenuto delle conversazioni telefoniche, anche quelle tra Mancino e il capo dello Stato. La confusione, creata a parole dalla politica, ha avuto il sopravvento. Quasi da schemi beckettiani le dichiarazioni dalla maggioranza e firme simpatizzanti. A: “Napolitano spieghi”, B: “Inaccettabili insinuazioni”. E via, nella distrazione-confusione.
Poi capita che un magistrato come Roberto Scarpinato ricordi Paolo Borsellino e obietti l’ipocrisia, l’offesa nella memoria a un passo dalla verità sulla trattativa Stato-mafia. Succede, in questo caso, che le parole colpiscano il cuore e la coscienza, e parta l’azione del Csm. Forse è già svanito l’orrore delle immagini di via D’Amelio. Squarciata, poi muta. Una bomba di vent’anni.