L’Europa di Draghi ne ha pochi, che quando parlano la gente li sta ad ascoltare e crede pure a quello che dicono. L’Italia, invece, di Super-Mario ne ha una scorta: c’è quello che sta a Francoforte e quelli che stanno a Roma a Manchester (ma questa è un’altra storia). Ieri, le parole di Draghi sono state un portentoso toccasana: dopo, non volava più la mosca d’uno spread. Come cobra al flauto di un fachiro, i mercati si tiravano su tutti ringalluzziti: a quelli che vendevano, veniva voglia di comprare; e gli spread scendevano. E oggi l’avvio prometteva bene, fin quando la Bundesbank, come c’era da aspettarselo, non s’è fatta sentire, bacchettando un po’ quel governatore (troppo) europeista..
Però, visto che di Draghi l’Europa ne ha pochi, è bene tenerceli da conto: le settimane a venire di questa traversata del deserto estivo restano zeppe di incognite e di pericoli – già lo si vede stamane –.E, se le stesse cose ieri le avessero dette, come pure capita loro di dirle, Olli Rehn, o Manuel Barroso, o anche Jean-Claude Juncker, sarebbero state, in misura magari a scalare, spallucce e sorrisetti: “difese d’ufficio”, le avrebbero catalogate i mercati e la speculazione; e la Bundesbank manco si sarebbe corrucciata.
Del resto, non è che il presidente della Banca centrale europea abbia detto nulla di nuovo né di sorprendente: ha detto, con competenza, precisione e fermezza, quello che aveva già detto in passato e che, comunque, doveva dire, per ruolo e per convinzione. Le cronache dell’Europa ‘pre-euro’ sono piene di governatori di banche centrali e di ministri delle finanze, specie italiani, ma anche irlandesi, e pure spagnoli e francesi, che giuravano il venerdì sera sulla intangibilità della loro moneta e il sabato mattina ne annunciavano la svalutazione. Qualche volta mascherata da rivalutazione del marco, che così pareva meno brutto.
Inoltre, Draghi, almeno per il momento, ha solo parlato: non ha ancora fatto nulla. Se il potere taumaturgico delle parole del governatore non sarà stato sufficiente, la Bce dovrà fare seguire i fatti alle parole, magari nella riunione del consiglio direttivo del 2 agosto. E, a quel punto, forse, non saranno proprio tutte rose e fiori: l’intervento della Bundesbank lo lascia presagire.
Ora, il fatto che il governatore dica che la Banca centrale europea, all’interno del proprio mandato, è pronta a fare qualunque cosa per preservare l’euro – sia pure rincarando la dose con la formula di sfida “credetemi, questo basterà” – e che dichiari fiducia nella intangibilità della moneta unica, nel permanere della Grecia nell’euro e nella sconfitta della speculazione conforta gli spiriti semplici come me. Ma davvero basta a fare battere in ritirata finanzieri che sono squali?
Draghi ha ancora da giocarsi un capitale che altri non hanno mai avuto o hanno già molto eroso: la credibilità e la fiducia, Però, anche lui deve stare attento a non consumarlo: se nei prossimi giorni l’effetto da pifferaio magico delle parole di ieri a Londra dovesse stemperarsi, se le borse dovessero riprendere a bruciare ricchezza e lo spread a mangiarsi sacrifici e manovre, la Bce, a questo punto, a quel punto, dovrà intervenire. Perché le parole, se restano tali, senza fatti, quando dei fatti c’è bisogno, si svalutano più in fretta della lira di una volta; o di una dracma fuori dall’euro.