Ancora due Comuni, Campobello di Mazara e Misilmeri, in Sicilia, che vengono sciolti per mafia. A Campobello di Mazara, in provincia di Trapani, l’amministrazione va a casa con una operazione condotta dai carabinieri su disposizione della Procura di Palermo. A dicembre era già stato arrestato il sindaco del Pd Ciro Caravà, prima transitato anche da Pci e Forza Italia. Il primo cittadino, ancora in carcere, non si è mai si è dimesso da sindaco, mentre i suoi assessori e il Consiglio già allora avevano presentato le dimissioni.

A Misilmeri, in provincia di Palermo, il sindaco Piero D’Aì ha lasciato oggi l’incarico. Era stato eletto nel 2010. D’Aì risulta indagato a Palermo nell’ambito dell’inchiesta “Sisma” per concorso esterno in associazione mafiosa e ha inoltrato una lettera al prefetto di Palermo, Umberto Postiglione: “Lascio con l’amarezza nel cuore – scrive -. Sono certo di non avere posto in essere un solo atto gradito ai mafiosi. Ma purtroppo antagonisti politici hanno lavorato da subito per fare di Misilmeri, e di un’esperienza pulita e trasparente, un verminaio”. Poi conclude: “Intimamente mi sono ispirato agli insegnamenti di un misilmerese come Rocco Chinnici, conosciuto da giovane, e sono orgoglioso di avergli intitolato l’aula consiliare”. Le indagini che lo riguardano raccontano di palazzine costruite su terreni diventati edificabili. Per cambiare la destinazione d’uso dei terreni ci sarebbe stata una regia mafiosa. La Regione ha bocciato 30 concessioni edilizie ma ci sono abitazioni in costruzione e altre già finite.

Un paio di anni fa a Campobello di Mazara la prefettura di Trapani aveva provato a ottenere dal Governo lo scioglimento per mafia, ma la proposta allora inoltrata al ministro dell’Interno Maroni venne ignorata e Caravà, sindaco uscente, potè ricandidarsi. Pochi mesi dopo, a dicembre scorso, l’arresto. Entrambe le richieste di scioglimento ruotano attorno al super latitante di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro. Campobello di Mazara avrebbe garantito le coperture al boss, latitante dal 1993. Caravà, sindaco dal 2006, avrebbe recitato la ‘parte’ del primo cittadino antimafia: inaugurava i beni confiscati ai boss poi si scusava con i capi mafia o con i loro familiari. Alcuni di loro, come emerge dalle intercettazioni, commentavano come il sindaco bene interpretasse la parte. Caravà nel frattempo si preoccupava di pagare i costi di viaggio ai familiari di un boss detenuto lontano dalla Sicilia.

Il lavoro della commissione che ha compiuto l’accesso agli atti dopo il blitz per l’arresto del sindaco ha fatto emergere ancora l’esistenza di episodi di corruzione che riguardavano il rilascio di concessioni e autorizzazioni edilizie. Molti degli amministratori inoltre avevano precedenti penali, a cominciare dallo stesso sindaco Caravà. Tra gli episodi denunciati quello di una processione religiosa con in testa il sindaco, che si fermò davanti la casa di un mafioso, Franco Luppino, in segno di omaggio. Luppino, adesso in carcere, all’epoca era il postino personale di Matteo Messina Denaro. Tra i consiglieri comunali indagati c’era anche Nino Grigoli, anche lui del Pd, nipote del più famoso Giuseppe, proprietario dei supermercati Despar poi condannato in secondo grado. Di Giuseppe Grigoli i pentiti hanno raccontato che lui e Messina Denaro “erano la stessa cosa”.

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