Ognuno parla fra altri e, fra altri, viene ascoltato e dimenticato. Ci sono trovate estrose ed eventi drammatici, si va dalla tragedia allo spettacolo, dal furore alla indignazione alla presa in giro. Manca sempre il protagonista. É nato un attivismo collettivo abbastanza ordinato, con informazioni in tempo reale e un vero e proprio collegamento in diretta che non chiede niente agli organizzatori, non il suono, non le luci, non lo studio o il costo per le riprese. E neppure un capo. Tutto avviene e basta.
Direte che questa è la rete, che il nuovo strumento ha sfarinato e poi ricompattato quella che una volta era la massa, che si aggregava intorno a un fede (detta ideologia) e identificava un capo da seguire, una volta stabilito il percorso. Adesso “ricompattare” vuol dire sincronizzare, informare, collegare giorno e notte senza lasciare il minimo spazio vuoto. In questo mondo c’e’ una vasta pianura di orizzonti infiniti dove tutto appare possibile, e dove chiunque è in grado di trovare o seguire o indicare una strada. Ci sono segnali di orientamento, come nei sentieri di montagna, ma ciascuno si avvia da solo e conta di trovare gli altri, senza che gli altri siano parte o personaggi della sua vita, senza che vi siano legami, tranne il progetto. Il progetto è in parte un testo, in parte citazione, in parte frammento di libro, in parte grido che passa di “postazione” in “postazione” venendo da chissà chi e chissà dove, ma bello, azzeccato. Scomparirà quasi subito.
In rete vi sono poderosi archivi ma non c’e’ memoria, non nel senso umano, che ricorda per amore, per ossessione, per associazione o per caso. Perciò tutto resta per sempre, e tutto si perde per sempre, perchè una frenesia (tecnica, non nervosa) di cambiamento percorre ogni tempo e spazio di ciò che accade in rete e ciò che oggi è la cosa da fare, la sola, con urgenza ed emergenza, domani è sparita. Domani è pieno d’altro. E se c’era un leader che aveva afferrato il prima, subito dopo ci vorrà un altro, perchè tutto è cambiato e le tracce del prima si perdono subito.
E’ una esperienza nuova mischiarsi ai gruppi spontanei di esseri umani che si formano dappertutto, ciascuno testimoniando una missione e raccontando una pena. La prima differenza con le generazioni di protesta che li precedono è che non sfidano, resistono. La seconda è che l’estremismo (ovvero un senso di impossibile, di inaudito, di eccessivo) viene esibito da chi governa verso i cittadini, un curioso rovesciamento dell’estremismo del ” vogliamo tutto”. Ora vuole tutto – o questa è l’impressione diffusa – chi governa, qui o in Europa, e i gruppi che si mobilitano tentano ogni tipo di barriere e di resistenza, non per avere di più ma per cedere meno.
Come vedete è uno strano mix, fatto di un mondo virtuale che nasce in rete (sia i progetti di resistenza che quelli di governo). Quando diventa vero, nelle fabbriche, nelle case, nelle piazze, nelle strade, porta dalla rete due tratti inesorabili: la solitudine e una strana sorta di eguaglianza, che non è l’eguaglianza come valore sociale. É un dato statistico in cui ciascuno conta come un altro. E anche se a un certo punto si scatena un gioco fra chi è più bravo, la gara vale solo per quel momento, come una partita di scarabeo. Poi ognuno torna ad essere un pezzo del gioco.
E infatti ogni volta, nei gruppi veri fatti di esseri umani e non di Facebook e di numeri, si vedono megafoni abbandonati nelle mani di qualcuno che ha già parlato e non sa a chi passarlo, microfoni aperti (si sente la voce ” prova…prova”) che aspettano qualcuno che si faccia avanti volontario per parlare, vedi palchi a lungo deserti, perchè nessuno, abituato a vivere dietro il computer, pensa che tocchi a lui, a lei, di prendere l’iniziativa e di parlare, guidare.
Ognuno nasce spettatore dello schermo che non smette di generare fatti inediti, ognuno interessato quasi solo alle cose nuove che trova. E si abitua a esprime il suo giudizio con le tre righe di Twitter. In queste condizioni nessuno prende il comando. Il comando di cosa?