E’ fuorviante affermare che i differenziali dei tassi oggi volteggiano verso i livelli raggiunti nella fase agonizzante del governo Berlusconi. La situazione è peggiore rispetto a novembre perché all’epoca la Bce non aveva ancora dispensato un trilione di euro pronta cassa affinché le banche si imbottissero di titoli di stato.
La fuga dai titoli della Repubblica Italiana ha una lunga gestazione: ne avevo scritto in un breve commento sul Fatto Quotidiano, I mercati rivedono la deriva tremontiana, il 12 aprile scorso quando il differenziale con i bund tedeschi, finito l’effetto della droga monetaria, aveva ripreso il decollo: “Un governo affrancato dal dovere del bacio alla pantofola elettorale di lobbies e santuari del consociativismo ha finito per seguire il richiamo della foresta partitico cui sono sensibili i burocrati, accademici di corte e boiardi che ne fanno parte”.
Fuor di metafora Monti non ha dato un’impronta di discontinuità con il passato lasciandosi risucchiare dalla pulsione tremontiana al suicidio, imperniata su riforme mal concepite (e peggio implementate), annunci ridicoli e piagnistei negli incontri internazionali. Detta in modo ancora più brutale, il governo si è crogiolato nella convinzione di poter infinocchiare i partners europei, arraffare i soldi dell’ESM e continuare ad alimentare le greppia da cui si pasce chi lo sostiene in Parlamento.
Il palafreniere di questa strategia è lo stesso da anni: il neo promosso Ministro dell’Economia Vittorio Grilli che sotto Tremonti (e ancor prima) ha gestito la burocrazia ministeriale vestendo vari cappelli, con esiti largamente fallimentari, in virtù dei quali Monti lo ha piazzato al vertice del dicastero più importante. Per gli investitori internazionali ritrovarsi come responsabile della politica economica chi fino a non troppi mesi fa andava in giro per il mondo a rassicurare sulle radiose sorti dell’Italia sotto l’illuminata guida del ducetto di Arcore e del tributarista di Sondrio, è motivo fin troppo cogente per disfarsi dei titoli con marchio Republic of Italy.
E che dire dell’ “eroica vittoria” di Monti sulla Merkel a Bruxelles un mese fa? Ricordate come i telegiornali raccontavano alle italiche genti che, a differenza del Cavalier Pompetta, il Professor Pomposo aveva affrontato e messo in rotta i panzer tedeschi? Nella Penisola era tutto un tripudio per i due Mario. Fummo in pochi a scrivere (qui il mio pezzo sul Fatto Quotidiano) che si stava abbindolando l’opinione pubblica con palesi esagerazioni. Ora con lo spread fuori controllo se ne sono accorti anche i tromboni di regime ed è tutto uno strapparsi i capelli, un’invocazione a Draghi, un’implorazione alla Merkel, una prece ad Hollande.
L’unica cosa sorprendente è che gli investitori siano stati così pazienti, perché le avvisaglie del disastro si erano manifestate già a febbraio (Campa cavallo che l’Italia cresce), quando si continuava a cincischiare su una fantomatica Fase 2 che non è mai arrivata. Insomma Monti non ha tirato andreottianamente a campare ma ha proprio tirato a crepare dello stesso identico morbo tremontiano.
Nel frattempo la muta che scondizola e abbaia festosa quando percepisce gli ultrasuoni quirinalizi è tutta impegnata a congegnare un piano per blindarsi le natiche: una legge elettorale che di fatto non produca una maggioranza stabile e quindi “costringa” i PD con e senza elle a perpetuare la grande coalizione con Monti officiante del rito. Tanto nel PD sono consci della propria incapacità a governare, mentre Berlusconi sa che difficilmente potrebbe vincere. Meglio quindi un armistizio per spartirsi il potere, come vagheggiato sin dalla Bicamerale di Baffino, mantenere intatti i privilegi, e lasciare i “tecnici” alle prese con le assi sconnesse della baracca.
Sorge un problema però: cinque anni di Monti al guinzaglio di Berlusconi, Bersani e Casini per chi gestisce il risparmio suo o dei clienti sono improponibili, visti i chiari di luna con le trote al governo. Lo spread si impenna proprio perché non si intravede una prospettiva politica affidabile e pertanto saranno pochi quelli che rimarranno inebetiti ad aspettare il crollo. Parafrasando la battuta sulla furbizia di Andreotti (tutte le volpi finiscono in pellicceria) verrebbe da dire che tutte le trote finiscono in graticola. Talora nel barbecue dei mercati d’agosto.