Con l’ultimo numero in edicola, la rivista Quattroruote ha finalmente deciso di interessarsi della questione della sicurezza dei ciclisti sulle nostre strade con un articolo il cui titolo lascia adito a ben poche possibilità di interpretazione “Vogliamo il caso per i ciclisti”.
La rivista di riferimento degli automobilisti italiani sembra aver scelto la via più breve e più semplice per risolvere il problema della sicurezza di chi va in bici: se il risultato della convivenza tra utenti della strada corazzati e utenti della strada indifesi è che questi ultimi troppo spesso rimangono feriti o uccisi, allora corazziamo chi ancora non lo è.
L’assunto alla base di questa proposta è molto semplice: se molti ciclisti perdono la vita sulle strade è perché picchiano la testa e quindi imponiamo loro per legge l’obbligo di indossare il casco.
Da un punto di vista logico il ragionamento presentato non fa un piega, ma indubbiamente manca di considerare alcuni elementi:
- I ciclisti subiscono dei forti traumi cerebrali generalmente dopo essere stati urtati violentemente da camion o automobili. Quindi se la causa del decesso di molti ciclisti è il trauma cranico, allora l’arresto cardiaco è la causa di morte di tutti coloro che vengono colpiti al cuore dai proiettili.
- Richiedere l’obbligatorietà del casco significa inserire un’ulteriore legge all’interno del nostro ordinamento: se i nostri vigili urbani non riescono a sconfiggere o almeno a scoraggiare il fenomeno della sosta in doppia fila (o della cattiva abitudine di molti ciclisti di attraversare con il semaforo rosso), davvero ci aspettiamo che riescano a rendere effettivo questo obbligo nei confronti dei ciclisti nostrani?
- È vero, chi va in bici e rimane coinvolto in qualche incidente, spesso perde la vita dopo aver picchiato la testa, però se vogliamo salvaguardare un numero considerevole di vite umane sulla strada, forse è meglio concentrarsi sui numeri invece che su assiomi preconfezionati privi di qualunque validità scientifica. Ebbene, guardando i numeri, scopriamo che circa la metà delle ferite alla testa (non solo sulle strade) avviene proprio all’interno delle automobili.
Sulla base di quest’ultimo elemento, un cretinetti qualunque, magari giornalista di un’ipotetica testata giornalistica “DueRuote”, potrebbe arrivare a proporre l’obbligatorietà del casco per tutti gli automobilisti, ma è evidente a tutti quanto sarebbe folle questa proposta. Forse la soluzione migliore sarebbe concentrarsi sulle cause degli incidenti e non sulle cause dei decessi, cioè il mancato rispetto delle regole della strada, la cattiva progettazione, la mancata separazione del traffico leggero da quello pesante e la velocità troppo elevata nei centri abitati.
E nel resto del mondo?
Gli unici paesi in cui il casco è stato reso obbligatorio per i ciclisti sono l’Australia e la Nuova Zelanda. I risultati sono stati una drastica riduzione nell’uso della bicicletta e una non diminuzione nel numero delle morti, al punto che la città di Sidney sta spingendo per una revisione della legge. Israele ha abrogato l’obbligo d’uso del casco dopo 4 anni di sperimentazioni che si sono rivelate fallimentari. In Danimarca nel 2009 il Parlamento ha bocciato la proposta di legge per l’obbligo del casco, la Svizzera un mese e mezzo fa ha espresso un parere che va nella stessa direzione.
Parere contrario è stato ripetutamente espresso anche dalla Federazione Italiana Amici della Bicicletta e dalla European Cyclists’s Federation (che dovrebbero avere a cuore la sicurezza dei ciclisti più di ogni altra cosa).
Come diceva quel vecchio motto? “Prima di azionare la bocca accertarsi che il cervello sia perfettamente funzionante”.
Quindi, si al casco, no all’obbligo!