La storia dei Sinclair, entrambi calciatori, che rappresentano la Gran Bretagna nel calcio nelle due competizioni e si sostengono a vicenda. Il maggiore, disabile: "Mi è stato vicino quando entravo e uscivo dagli ospedale". L'altro: "Mi ha fatto restare con i piedi per terra in un mondo dov'è facile perdersi"
Favole olimpiche. Dietro il gol con cui Scott Sinclair ieri ha lanciato la nazionale di calcio della Gran Bretagna verso i quarti di finale, c’è una storia di affetti familiari e di tragedie sfiorate che grazie allo sport hanno trovato un lieto fine, oltre il cinismo che circonda la faraonica e iniqua organizzazione dei Giochi di Londra 2012. C’è la storia di due fratelli. Martin e Scott Sinclair, entrambi calciatori, entrambi convocati nella nazionale della Gran Bretagna: uno giocherà nella nazionale paralimpica che debutterà a fine agosto, l’altro gioca in quella olimpica e ieri, appena entrato, ha segnato contro gli Emirati Arabi. Un piccolo record a conduzione famigliare – è la prima volta per due atleti britannici – per due fratelli che da bambini giocavano per casa col pallone, sfondando televisori e rompendo quadri alle pareti. E oggi, grazie a quel pallone, rappresentano il loro paese.
Scott è il più giovane, a soli 16 anni va al Chelsea che poi lo manda in prestito in giro per squadre minori, fino a che non riesce ad affermarsi nello Swansea City col quale ottiene una promozione e poi quest’anno la salvezza. Esterno rapido e potente, oggi a 23 anni Scott è uno dei più brillanti talenti a disposizione del calcio britannico. Martin, 26 anni, è il fratello maggiore. Nato con una paralisi celebrale, non se ne era mai accorto e giocava a calcio in alcune squadre amatoriali quando, all’età di 15 anni, causa un incidente domestico si rompe il femore. All’ospedale non ritengono opportuno fargli la radiografia e così la situazione si aggrava costringendolo, dopo anni di dolori, su una sedia a rotelle per tre anni e mezzo. Una volta scoperto l’infortunio al femore, anni dopo e quasi per caso, Martin scopre anche di essere affetto fin dalla nascita da paralisi celebrale.
Si sottopone allora a un’operazione chirurgica per il femore e riprende le funzioni motorie. “Anche se sono un po’ sbilanciato – spiega –. E quando cammino dondolando mi sembra di essere Buffalo Bill”. Qualche anno fa, approfittando del fatto che Scott giocava in prestito al Plymouth sotto la guida di Ian Holloway, allenatore da sempre attento al sociale, Martin decide di entrare nello staff tecnico di quest’ultimo. Mentre Scott continua la sua crescita nei campionati minori e il piccolo Jake, il terzo fratello, comincia la sua carriera nel mondo del calcio nelle giovanili del Southampton, Martin, su consiglio di Holloway, decide di interrompere il lavoro con lo staff tecnico e di ricominciare a giocare. “All’inizio ero un po’ restio, poi mi sono buttato e ho cominciato a giocare con altri ragazzi affetti da paralisi celebrale – racconta Martin -. Mi sono appassionato sempre di più e dopo qualche anno eccomi qui, convocato addirittura per rappresentare il mio paese”.
Se Martin dedica la convocazione al fratello – “Sono qui grazie al suo supporto, mi è sempre stato vicino negli otto anni che ho passato fuori e dentro gli ospedali” -, Scott è lesto nel ribadire: “Sono io che devo ringraziare lui. La sua presenza è stata fondamentale per restare con i piedi per terra in un mondo dove altrimenti è facile perdersi. Ogni volta che mi sentivo giù, perché non riuscivo a segnare o avevo giocato male, bastava una chiamata con Martin per rimettere le cose nella giusta prospettiva”. Ora i due fratelli sono pronti a difendere i colori della stessa nazione in Olimpiadi e Paralimpiadi. Un piccolo primato che li rende entrambi orgogliosi. “E per una volta – conclude Scott, di solito abituato alle prime pagine dei giornali non fosse altro per la sua relazione con un’attrice – sono ben felice che il posto di onore sia riservato a Martin, è lui il vero protagonista di questa storia”.