In questi giorni, a partire dal 25 giugno, quando alla Biblioteca Comunale di Palermo, il cui atrio verrà presto intitolato a Paolo Borsellino, abbiamo rievocato l’ultimo incontro pubblico di Paolo, ho più volte meditato sulle parole che furono da Paolo pronunciate quella sera, lentamente, guardandosi intiorno con quel suo sguardo che sembrava ormai guardare ad un punto lontano, al di là di questa vita, al di là dei pochi giorni che sapeva ormai gli avrebbero concesso di vivere.
In particolare mi tornano costantemente alla mente quelle parole in cui Paolo dice con forza e amarezza insieme: “il paese, lo Stato, la magistratura, che forse ha più colpe di ogni altro, cominciò proprio a farlo morire il 1° gennaio del 1988“, e per Paolo, che aveva un profondissimo senso dello Stato e delle Istituzioni quelle dovevano essere delle parole terribili da pronunciare.
E poi quelle altre, ancora più pesanti, in cui Paolo, parlando della decisione del Consiglio Superiore della Magistratura che preferì Antonino Meli a Falcone per la successione di Caponnetto all’ufficio istruzione del tribunale di Palermo, dice, tra gli applausi ripetuti dei presenti che conoscevano bene di chi stesse parlando “qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro….“.
Sono passati 20 anni e Giuda ha preso di nuovo dimora al Csm. o forse non se ne è mai allontanato se un suo membro laico ha potuto prendere a pretesto una nobilissima lettera a Paolo, letta da Roberto Scarpinato in via D’Amelio, in prossimità dell’ora della strage del 19 luglio, per invocare dei provvedimenti disciplinari nei suoi confronti con lo scopo nemmeno troppo occulto di sbarrargli la strada alla Procura Generale di Palermo.
Gli stessi concetti espressi in quella lettera, ascoltati con emozione e continui applausi dalle migliaia di persone presenti quel giorno in via D’Amelio, Roberto Scarpinato li ha più volte espressi nelle sue interviste, nei suoi discorsi e in quel suo eccezionale libro, “Il ritorno del Principe” fondamentale per chi voglia capire la storia di questo nostro disgraziato paese.
Ma con questo attacco, sferrato nei suoi confronti per una lettera scritta a Paolo su invito, espresso anche nei confronti di altri magistrati, dai familiari del giudice, si è voluto colpire non soltanto un magistrato che della Giustizia, quella vera, quella “Eguale per tutti” è diventato un simbolo.
Si è voluto colpire anche quell’ampio movimento della Società Civile composto da persone che non si rassegnano a fronte dei silenzi e dei macigni posti sulla strada della Giustizia, sulla strada che porta alla verità sulla strage di via D’Amelio, ma che queste verità continuano a chiedere a gran voce, levando in alto il simbolo di questa lotta, un’Agenda Rossa, rappresentante quella che fu sottratta in via D’Amelio dalla macchina ancora in fiamme di Paolo e per la cui sottrazione non si è mai ancora arrivati alla fase dibattimentale di un processo.
Non si rassegnano a vedere che dalla più alta istituzione della nostra Repubblica, dalla quale vorrebbero sentire incoraggiamenti ed assicurazioni ai magistrati di Palermo che stanno percorrendo a rischi della propria stessa vita la difficile strada della verità, arrivano invece assicurazioni di benevolo interessamento nei confronti di un indagato a causa dei suoi silenzi e delle sue contraddizioni sulle circostanze di quella trattativa per cui fu affrettata l’eliminazione di Paolo Borsellino.
E per contro pesanti accuse nei confronti di questi magistrati, come se fossero moralmente responsabili della morte per infarto di quel consulente giuridico del Presidente della Repubblica intercettato mentre a questo ex ministro assicurava appunto il benevolo interessamento del Presidente o dava consigli su come eludere il meno benevolo interessamento da parte dei giudici di Palermo.
Leggo oggi sul blog “Toghe Lucane“, a firma di Nicola Picenna, a proposito di una intercettazione disposta nei suoi confronti che sembrerebbe derivare da un procedimento penale giudicato illecito e che è andata avanti per mesi “Abbiamo più volte scritto raccomandate al Presidente Giorgio Napolitano il quale, per tramite di un suo collaboratore, ci ha sempre risposto che il Presidente non può occuparsi di vicende che competono alle Procure della Repubblica” .
Ci auguriamo tutti che il Presidente si attenga a quanto affermato dal suo collaboratore, che non si occupi di vicende che competono ai magistrati e che la Giustizia possa fare il suo corso anche nei confronti di ex ministri come Mancino senza “coordinamenti da sollecitare, magistrati da richiamare, incontri da auspicare“.