Secondo l'Onu sono 220mila i profughi in fuga da Aleppo, martoriata dai bombardamenti: sono accolti e assistiti dal governo di Erdogan. Le testimonianze: "Nei quartieri distrutti manca tutto: acqua, luce, cibo. Le file per il pale sono di due chilometri
“La cosa più triste della battaglia di Aleppo è che il peggio deve ancora venire”. A dirlo non è solo Ahmed Zeidan, coordinatore del Free syrian army ad Hatay, sud della Turchia, ma anche i profughi provenienti dalle periferie di Aleppo, che in questi giorni si stanno ammassando al confine. Le stime Onu parlano di 220mila profughi in fuga dalla capitale economica del Paese, martoriata dalle bombe.
A sconfinare però è solo una parte, la prospettiva delle tendopoli in piena estate non alletta davvero nessuno. Per questo ad oltrepassare il confine sono i più fortunati: quelli che hanno parenti e amici che li possono ospitare in Turchia, o i più sfortunati che non hanno un posto più sicuro dove andare che non le tende della Mezzaluna rossa, dove trovano rifugio già oltre 43mila siriani. Le cifre cambiano di ora in ora, fino a due giorni fa, erano solo 42.200. Per vedere chi fugge dalla Siria in questi giorni basta recarsi alla frontiera di Reyhanli dove i profughi di Aleppo vengono contati e caricati sui pullman in direzione dei nuovi campi che il governo di Erdogan sta allestendo per loro nella regione di Gaziantep.
Tra le persone che scappano molte vivono in quartieri non bombardati, ma temono di essere raggiunti presto dai razzi di Assad. “Io sono di Anadan – racconta una donna sulla trentina – dal nostro villaggio sentiamo gli aerei che sorvolano i nostri tetti, non vogliamo vivere nell’incubo che ci piovano bombe addosso”. “Nei quartieri bombardati non c’è più nulla – racconta un’altra – Acqua, elettricità, cibo. Nulla. Le file per il pane ormai sono di uno due chilometri. Non ho mai visto una cosa del genere in vita mia”. Alle migliaia di siriani in attesa di oltrepassare il confine, viene data assistenza con tutto ciò che riesce a passare dalla Turchia attraverso i valichi conquistati dal Free syrian army, a cui oltre ai tre già presi nei gironi scorsi oggi se ne aggiunge un altro: Anadan, a cinque chilometri a nord ovest di Aleppo.
“Ai profughi serve tutto”, ci spiega un medico siriano in attesa di un momento di distrazione dei soldati turchi, “Jendarma”, per entrare in Siria illegalmente: “Cibo, materassi, coperte, asciugamani, vestiti di ricambio e, ovviamente, acqua”. Intanto i feriti gravi, caduti sotto gli attacchi di questi giorni continuano a confluire all’ospedale pubblico di Hatay, il cui secondo piano ha un corridoio interamente occupato da pazienti siriani. Sono tutti uomini feriti in combattimento, molti civili invece stanno ricevendo cure in un ospedale da campo allestito a Reyhanli, vicino al check point preso dai ribelli di Bab al Hawa. A chi non riesce ad oltrepassare il confine invece, non resta che affidarsi all’ospedale improvvisato in una ex scuola nel villaggio di Otme in Siria a soli 3 dalla frontiera turca. “Stiamo cercando di portare dentro un gruppo di medici senza frontiere – rivela Ahmed Zeidan – ma anche loro, per il momento devono entrare clandestinamente per salvare vite. Non è assurdo?”.
di Susan Dabbous