Si tratta dei tubicini che servono per far funzionare le attrezzature mediche prodotti soltanto da due aziende emiliane, entrambe gravemente danneggiate dal terremoto. L'appello è stato pubblicato dal Daily Telegraph e Financial Times
La notizia è stata diffusa dai due giornali britannici, Daily Telegraph e Financial Times, che hanno spiegato come la situazione in alcune strutture inglesi sia molto seria. I tubicini possono essere utilizzati per un massimo di 72 ore, e sono indispensabili per far funzionare alcune macchine della ditta americana Baxter per il trattamento sostitutivo della funzionalità renale. Quest’ultima, per evitare incette, è stata costretta a razionare le forniture in attesa di ottobre, quando la distribuzione delle forniture sanitarie hi-tech dovrebbe riprendere a ritmo regolare.
Ora, però, il rischio è che alcuni ospedali rimangano senza tubicini nel giro di una settimana, o poco più. Secondo un esperto di terapia intensiva, il prof. Julian Bion, sentito dal Telegraph, gli ospedali potrebbero fare a meno di questi tubicini per un giorno, “ma se si arriva ad una settimana le vite dei pazienti potrebbero essere a rischio”. Intanto, il governo inglese ha invitato a gestire “le scorte esistenti nel modo più efficace possibile”. Mentre secondo la società statunitense Baxter, produttrice delle macchine, è prematuro lanciare l’allarme: “Le nuove forniture dovrebbero arrivare dopo l’8 ottobre. Alla scadenza mancano ancora 10 settimane e la situazione è ancora molto fluida”.
Il polo biomedicale di Mirandola, in provincia di Modena, è sempre stato un punto di riferimento europeo per il settore. Prima del 20 maggio, il complesso di aziende riforniva moltissimi ospedali, italiani e non, di apparecchiature per le terapie medico chirurgiche, dai tubi delle flebo, ai macchinari per la dialisi. Il terremoto non ha lasciato scampo, colpendo il 70% delle imprese, e portando danni strutturali o impiantistici talmente gravi da costringere a spegnere le macchine e a bloccare la produzione.
Alla Gambro di Mirandola, multinazionale svedese specializzata nei dispositivi usa e getta per la dialisi, con 800 addetti e un valore della produzione superiore ai 250 milioni di euro, si è dovuti ricorrere alla cassa integrazione. La Bellco, altra eccellenza del settore, tra le principali fornitrici di impianti di dialisi per i reparti di nefrologia, è stata una delle prime aziende a rimettersi in moto. Il lavoro dei dipendenti si è stato spostato nelle tensostrutture e i tendoni, allestiti apposta dopo il terremoto.