Spiace ai cultori del negazionismo professionista, ma l’unico aggettivo che si può togliere, nella narrazione della trattativa tra Stato e mafia, è “presunta”. A cancellarlo è la sentenza della Cassazione del processo sulle stragi del ’93 a Firenze, Roma e Milano, che ha certificato l’esistenza della ‘trattativa’ ponendo il proprio autorevole timbro alla ricostruzione, confermata nei tre gradi di giudizio, e sintetizzata dalle parole contenute nel verdetto di primo grado: “L’iniziativa del Ros (che contattò Vito Ciancimino, ndr) aveva tutte le caratteristiche per apparire come una trattativa: l’effetto che ebbe sui capi mafiosi fu quello di convincerli definitivamente che la strage era idonea a portare vantaggi all’organizzazione. E nonostante le più buone intenzioni con cui fu avviata, (quest’iniziativa, ndr) ebbe sicuramente un effetto deleterio per le istituzioni”.
All’inizio furono i Ros e don Vito
Nella sentenza, i giudici analizzano il fatto storico degli incontri tra gli ufficiali del Ros e Vito Ciancimino, ponendosi domande ancora oggi senza risposta: “Non si comprende – scrivono i magistrati – come sia potuto accadere che lo Stato, “in ginocchio” nel 1992 – secondo le parole del generale Mori – si sia potuto presentare a Cosa Nostra per chiederne la resa; non si comprende come Ciancimino, controparte in una trattativa fino al 18 ottobre ’92, si sia trasformato, dopo pochi giorni, in confidente dei carabinieri; ciò che conta – dice la sentenza – è come apparve, all’esterno e oggettivamente, l’iniziativa del Ros, e come la intesero gli uomini di Cosa Nostra”. Una ricostruzione che è il punto di partenza di tutte le analisi giudiziarie sulla trattativa. Partendo da queste considerazioni, i giudici della Corte di assise di Firenze nello stralcio del processo per le stragi del ’93 (imputato il boss Francesco Tagliavia) concluso con il deposito delle motivazioni nel marzo scorso, fissano, ancora più chiaramente, tre concetti base: 1) Una trattativa indubbiamente ci fu e venne, quantomeno inizialmente, impostata su un do ut des; 2) L’iniziativa fu assunta da rappresentanti delle istituzioni e non dagli uomini di mafia. 3) L’obiettivo che ci si prefiggeva, quantomeno al suo avvio, era di trovare un terreno d’intesa con Cosa Nostra per far cessare la sequenza delle stragi”. E cioè, ‘il ricatto allo Stato e la trattativa appaiono infatti intersecarsi e sostenersi sul piano logico in un quadro di reciproca compatibilità”. “Un canale di comunicazione tra le istituzioni e Cosa Nostra – prosegue la sentenza – che fu interpretato da quest’ultima come una debolezza o come un segnale di forte apprensione dello Stato”.
Le indagini di Caltanissetta
La debolezza delle istituzioni di fronte all’offensiva stragista è argomento ripreso anche dalla Procura di Caltanissetta, che nella richiesta di rinvio a giudizio lega la trattativa alla morte di Paolo Borsellino: l’unica certezza, per i magistrati nisseni, è che la trattativa “sia stata interpretata, o riportata da qualcuno anche in maniera colposa, in modo da farlo ritenere un ostacolo o un muro da abbattere per poter arrivare a una conclusione soddisfacente per Cosa Nostra della trattativa”. Ecco spiegata la ragione della memoria a orologeria di tanti politici e funzionari dello Stato: nessuno dei protagonisti della trattativa, né gli ex ministri Nicola Mancino, Giovanni Conso, Claudio Martelli, né i funzionari del Dap Nicolò Amato, Adalberto Capriotti, Edoardo Fazzioli, Francesco Di Maggio, Andrea Calabria, nè gli ex presidenti del consiglio Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi, nè il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, ha piacere di ammettere di essere stato “testimone silente di comportamenti che, seppure posti in essere da altre persone, possano aver spinto Cosa Nostra ad accelerare l’eliminazione di Borsellino”. Una fotografia impietosa, quella dei pm di Caltanissetta, che definiscono la trattativa una ‘stagione ingloriosa per lo Stato italiano’.
Pisanu ammette (poi ci ripensa)
E se Pietro Grasso non ha dubbi, e parla di trattativa per “salvare alcuni politici”, è ancora incerto, sulla definizione di quei patti Giuseppe Pisanu, presidente della commissione Antimafia nelle cui audizioni si discute apertamente di “trattativa”: prima si è spinto ad affermare nel 2010 che qualcosa di simile alla trattativa con lo Stato, Cosa Nostra non l’ha mai abbandonata. “Cosa Nostra – ha detto al termine della lunga ricostruzione storica, sociale e politica – ha forse rinunziato all’idea di confrontarsi da pari a pari con lo Stato, ma non ha certo rinunziato alla politica”. Poi, recentemente, ha cambiato idea: La Trattativa? Fu solo un’estorsione”.
Il Fatto Quotidiano, 31 Luglio 2012