Indio, Europio, Tantalio. I loro nomi ci dicono ben poco. Eppure ne siamo circondati. Tanto da non poterne più fare a meno. Senza questi preziosi minerali, poco meno di una ventina, riuniti sotto la definizione di terre rare, i nostri smartphone e computer cesserebbero, infatti, di funzionare. I grandi del pianeta lo sanno e attorno a questi nomi litigano da anni. L’ultimo scontro è di queste settimane. Usa, Europa e Giappone hanno deciso di denunciare la Cina al Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio. Giorni fa è arrivata la risposta del Wto, che ha deciso di dar seguito alla denuncia costituendo un comitato di esperti per esaminare la questione.
L’accusa rivolta al gigante asiatico è di “avere violato le regole del mercato, riducendo l’esportazione di questi metalli nel tentativo di favorire le aziende cinesi a danno delle concorrenti e dei consumatori”. Pechino ha deciso, infatti, di tagliare le esportazioni del 27 per cento nella prima metà del 2012. E di ridurre, da 26 a 11, il numero di aziende autorizzate a vendere all’estero i propri prodotti. Già nel luglio 2010 e nel gennaio 2011 il Governo cinese aveva deciso di decurtare del 40 per cento la produzione di terre rare. Che, secondo quanto riferisce l’agenzia Bloomberg, dovrebbe fermarsi quest’anno intorno alle 31mila tonnellate. Una decisione che ha provocato la reazione del presidente Usa Barack Obama: “Se la Cina lasciasse semplicemente fare al mercato, non avremmo obiezioni. Ma le sue attuali politiche lo stanno impedendo e vanno contro le stesse regole che Pechino ha accettato di seguire”, entrando nel Wto nel 2001.
Ferma la risposta di Pechino attraverso l’agenzia ufficiale Xinhua, che cita il libro bianco sui costi ambientali e sociali delle terre rare, un rapporto pubblicato nei giorni scorsi dal Governo cinese per sostenere le proprie ragioni dopo la denuncia al Wto: “Alcuni paesi sono stati particolarmente agitati in questo periodo, dandosi a numerose congetture e inventandosi delle storie. La pubblicazione di questo libro bianco punta ad offrire alla comunità internazionale una migliore comprensione dell’industria cinese delle terre rare e delle politiche del paese in questo settore”. Poi i toni sembrano diventare meno accesi nelle parole del portavoce del ministero del Commercio, Shen Danyang: “L’obiettivo delle politiche cinesi sull’export delle materie prime è conforme alle norme del Wto, che permette ai suoi paesi membri di prendere le misure necessarie per proteggere le loro risorse e il loro ambiente. Il nostro scopo principale è, infatti, la tutela dell’ambiente e la realizzazione di uno sviluppo sostenibile”. Nel rapporto si sottolinea inoltre che “la Cina non intende limitare la libertà commerciale, né tutelare tale settore interno tramite distorsioni del commercio e continuerà a fornire i prodotti delle terre rare al mercato mondiale”. Ma, secondo l’International Herald Tribune, sarebbe proprio questa la vera ragione delle scelte cinesi: favorire le imprese nazionali, che potranno in questo modo avvalersi di prezzi più concorrenziali.
Relegate in un settore marginale della tavola periodica degli elementi, per molti anni le terre rare sono state ritenute semplice oggetto di curiosità scientifica. Unico loro utilizzo applicativo quello di pietrine negli accendini. A dispetto del loro nome, però, non sono così rare. È la dispersione nei sedimenti a renderle tali, perché i loro procedimenti d’estrazione sono lunghi, costosi e potenzialmente dannosi per l’ambiente. Esistono giacimenti in molti paesi tra cui India, Russia, Usa, Canada, Malesia, Sudafrica e Australia. Ma il vero dominus del settore è la Cina che, pur detenendo il 35 per cento delle riserve sfruttabili, è il maggior produttore mondiale. Controlla, infatti, più del 90 per cento del mercato globale delle terre rare.
Finora per molti paesi è stato più conveniente acquistare il materiale necessario per lo sviluppo del proprio settore hi-tech piuttosto che produrlo. Ma la decisione di Pechino di ridurre le esportazioni cambia il quadro. Il primo riflesso sarà un’impennata dei prezzi di queste materie prime sui mercati internazionali, eccezion fatta proprio per il mercato interno cinese. Una forma di protezionismo cui gli Usa potrebbero, ad esempio, reagire, ostacolando gli investimenti cinesi nelle nuove miniere che si stanno sviluppando sul territorio americano. Sullo sfondo, la guerra di valute tra le prime due economie del mondo. Che dura da alcuni anni, in concomitanza con l’impetuosa avanzata dell’economia cinese. Dopo due anni di crescita nei confronti del dollaro, lo yuan è tornato a indebolirsi, rendendo le esportazioni cinesi più competitive sui mercati. A tutto svantaggio proprio degli Usa. Il deficit commerciale tra i due paesi nell’ultimo anno è, infatti, aumentato di 23 miliardi di dollari rispetto al 2010, attestandosi attorno ai 300 miliardi.
Il comitato del Wto cui è affidato l’incarico di monitorare le politiche cinesi in tema di esportazione delle terre rare non si è ancora insediato. I lavori della commissione non hanno una durata prestabilita, ma potrebbero portare all’imposizione di dure sanzioni alla Cina.