Al moralismo e alla sua utilità ha dedicato un libro interessante Stefano Rodotà, un giurista onesto, competente e fedele alla Costituzione che secondo me ha più di ogni altro i titoli per aspirare alla Presidenza della Repubblica italiana, specie in un momento come questo nel quale il popolo italiano esprime giustamente la sua ripulsa per la casta in ogni sua forma. Il libro, intitolato appunto Elogio del moralismo, scritto in tempi di berlusconismo imperante, mantiene tuttavia a mio avviso una sua perdurante e forte attualità, specie nel momento in cui il suo autore dichiara la necessità di una reazione “quando ci troviamo di fronte a illegalità, cinismo, abbandono dell’etica pubblica, che è quello che è avvenuto in questi anni, non soltanto in Italia, ma in Italia in modo tale da travolgere lo stesso senso delle istituzioni, il rispetto delle regole, il rispetto degli altri”.
Non soltanto in Italia, appunto. Alla “bancarotta morale” dell’Europa è dedicato un editoriale del prestigioso settimanale tedesco Die Zeit del 12 luglio scorso, che sottolinea l’impotenza della rappresentanza popolare di fronte alle leggi dell’economia (“die Ohnmacht der Volksvertretung vor den Gesetzen der Wirtschaft”). Mi pare questo, in effetti, il problema da affrontare, sul quale già ho avuto occasione di attirare l’attenzione. E si tratta a mio avviso di problema assolutamente pregiudiziale, la cui soluzione deve intervenire prima ancora di dividersi in neoliberisti, keynesiani o quant’altro. L’articolo mette peraltro l’accento sull’immoralità di una società che consente a pochi privilegiati facili fortune nel nome e per conto della finanza, la quale, come insegna il recente scandalo del Libor, manipola e truffa.
Se anche un giornale come il Guardian britannico parla di “truffa finanziaria globale” di cui siamo tutti vittima, è il caso di prendere sul serio il problema. Quello di una finanza sregolata, che attraverso determinati meccanismi, illustrati da Luciano Gallino anche nel suo editoriale su La Repubblica di lunedì scorso, elude ogni controllo e viene a costituire una massa d’urto formidabile e apparentemente irresistibile che determina, fuori e contro ogni democrazia, il destino di interi popoli, continenti e in ultima analisi dell’umanità nel suo complesso.
Esiste, beninteso, anche una “specificità italiana”. Ma sarebbe scientificamente e politicamente scorretto, e quindi fuorviante, non cogliere i nessi di tale specificità con la situazione globale in cui siamo immersi, volenti o nolenti. Frode globale e piccoli truffatori locali si tengono per mano, specie in una società mondiale globalizzata come quella in cui viviamo. Richiesto di chiarire in cosa consista la “specificità italiana” un lettore mi ha del resto risposto che il nostro problema è l’evasione fiscale. Benissimo, va combattuta e, sia detto per inciso, quali risultati concreti sta portando, anche da questo punto di vista, il governo Monti, a parte le operazioni mediatizzate di Cortina e simili? Ma sarebbe anche il caso di interrogarsi, sulla scorta delle osservazioni formulate dagli specialisti del settore, quanto l’attuale situazione di caos finanziario globale agevoli anche l’evasione ed elusione di piccoli, medi e grandi speculatori. Cogliere i nessi tra globale e locale è operazione intellettualmente indispensabile in un momento come l’attuale e mi meraviglia che vi siano degli economisti che insistono a non capirlo.
Ma la questione è probabilmente più di fondo. Ci troviamo di fronte a un attacco senza precedenti alle conquiste e ai livelli di vita del popolo italiano. Per dirla con l’appello del manifesto sul “furto d’informazione”: “Le scelte delle autorità comunitarie e dei governi europei, all’origine di un attacco alle condizioni di vita e di lavoro e ai diritti sociali delle popolazioni che non ha precedenti nel secondo dopoguerra, vengono rappresentate, non soltanto dalle forze politiche che le condividono (e ciò è comprensibile), ma anche dai maggiori mezzi d’informazione (ivi compreso il servizio pubblico), come comportamenti obbligati (“non-scelte”), immediatamente determinati da una crisi a sua volta raffigurata come conseguenza dell’eccessiva generosità dei livelli retributivi e dei sistemi pubblici di welfare. Viene nascosto all’opinione pubblica che, lungi dall’essere un’evidenza, tale rappresentazione riflette un punto di vista ben definito (quello della teoria economica neoliberale), oggetto di severe critiche da parte di economisti non meno autorevoli dei suoi sostenitori”.
Deve essere possibile quindi scegliere fra varie alternative, come nell’essenza di ogni democrazia che si rispetti. Uscire dai dogmi del neoliberismo, che rappresenta un sistema ideale che non esiste e mai è esistito, quindi copertura ideologica pura dei rapporti di potere esistenti, per raffigurare il mondo come è effettivamente, e per chiarire basi e struttura dell’attuale sistema di oppressione mondiale basato sul predominio della finanza costituisce oggi un imperativo non solo scientifico e politico, ma anche morale. E’ comprensibile che chi grazie a tale sistema vive nel lusso si ostini a difenderlo, meno comprensibile che chi è invece ridotto alla miseria non si attrezzi, anzitutto sul piano intellettuale, per il suo superamento definitivo.