Alla vigilia della commemorazione della strage alla stazione di Bologna a prendere la parola è Daniele Pifano, il militante dell’Autonomia di via dei Volsci arrestato a Ortona nel 1979 mentre trasportava due missili Strela insieme a Saleh Abu Anzeh, esponente del Fplp (Fronte popolare per la liberazione della Palestina), Giuseppe Nieri e Giorgio Baumgartner. Lo fa per smentire legami tra la sua organizzazione e una delle vittime della strage, Mauro Di Vittorio, “uno sconosciuto per noi”, e per annunciare un’azione legale nei confronti del parlamentare di Fli Enzo Raisi.
Per lui, che oggi ha 66 anni e che collabora con il comitato di quartiere Pigneto-Prenestino, a Roma, il giovane morto nell’attentato del 1980 di cui parla Raisi “potrebbe essere un caso Valpreda a 32 anni di distanza”, facendo un parallelo con la vicenda dell’anarchico ballerino accusato e poi assolto per la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969. E aggiunge: “Vorrei che a parlare non fosse Raisi, ma qualcuno che non è un parlamentare e le cui parole possano dunque passare attraverso il vaglio della magistratura”.
La storia di Pifano è stata posta all’origine della cosiddetta “pista palestinese” per la strage del 2 agosto 1980, una presunta e finora indimostrata ritorsione per la violazione del lodo Moro dopo il sequestro dei missili di Ortona. E a indurlo a intervenire sono i contenuti della conferenza stampa dei giorni scorsi in cui Raisi era tornato a parlare di Di Vittorio, il ventiquattrenne romano che morì nell’attentato di Bologna, ascrivendolo “all’area dell’Autonomia romana, soprattutto quella dei Volsci, vicina ai palestinesi”. In questa occasione aveva parlato anche di incontri che esponenti dell’extraparlamentarismo di sinistra romano avrebbero avuto “a Verona, dove c’erano i vertici della colonna veneta delle Brigate Rosse”, facendo tra i referenti il nome di Antonio Savasta.
La prima iniziativa Pifano la prende scrivendo un comunicato datato 31 luglio 2012 in cui afferma che si tratta di “notizie sensazionali di grande effetto mediatico, ma di nessuna rispondenza reale”. E parlando di sé in terza persona aggiunge nel testo: “Questa volta [Raisi] ha tirato fuori che una delle vittime […] faceva parte dell’Autonomia Operaia, quindi la stessa di Daniele Pifano, quello dei missili dei palestinesi, quindi possibile trasportatore della bomba assassina che avrebbe fatto esplodere per sbaglio o volontariamente. Peccato che né il sottoscritto né gli altri responsabili a suo tempo del Collettivo del Policlinico o dei Comitati Autonomi Operai di via dei Volsci lo abbiano mai saputo o abbiano mai avuto notizia dell’esistenza di un compagno dell’autonomia tra le vittime dell’orribile strage di Bologna”.
Infine netto è il giudizio di Pifano sul contenuto delle parole di Enzo Raisi: “Per quanto mi riguarda ho dato mandato ai miei avvocati di sporgere denuncia contro [il parlamentare] pur sapendo che si farà scudo dell’immunità parlamentare”. L’ex militante dell’Autonomia romana, poi, al fattoquotidiano.it ha aggiunto: “Queste sono operazioni fatte a cicli costanti, ma viene da chiedersi quanto siano fatte coscientemente o meno. Certe persone non possono accettare, nonostante i pronunciamenti, che ci sia una targa che definisce fascista la strage di Bologna”.
Perché la vicenda di Ortona è stata messa in relazione alla strage di Bologna?
“In pratica si sostiene che, per liberare i palestinesi del Fronte popolare, si fa un attentato che aveva lo scopo di ricattare lo Stato ammazzando 85 persone. Lo Stato non ha liberato nessuno: Saleh Abu Anzeh, è uscito a scadenza dei termini, dopo 3 anni in cui si è fatto le carceri speciali e ha subito trattamenti altrettanti speciali. Lo stesso è accaduto a noi. È dunque un’affermazione falsa quella circolata secondo cui, subito dopo la strage di Bologna, il palestinese fu liberato. E poi dico questo: io voglio fare l’ergastolo, altro che qualche anno, se per liberare me e altre 2 o 3 persone se ne devono uccidere 85 in una stazione”.
In merito invece a presunti contatti tra l’Autonomia e la colonna veneta delle Br in funzione palestinese?
“Noi in contatto con le Br? E perché poi? Per far avere ai palestinesi magari dell’esplosivo? Chiunque c’era in questi anni e conosca cos’è accaduto sa che la situazione era diversa. I palestinesi ciò di cui avevano necessità ce l’avevano, non eravamo noi che dovevamo rifornirli. Chi delinea oggi scenari differenti però non è interessato alla plausibilità delle proprie affermazioni. Prima c’era Cossiga che sosteneva concetti analoghi, adesso ne sono venuti altri che tentano di occupare la scena pubblica. Quello che più mi preoccupa è che gente di sinistra abbia avallato tesi del genere a fronte delle quali non possiamo che presentare querele. Dal canto loro oggi i palestinesi non sono interessati a quello che si sta dicendo, hanno i loro problemi da risolvere, sia al loro interno che con Israele”.
Dunque un’eventuale “pista rossa” per Bologna non avrebbe fondamento?
“No, è fuori registro, fuori completamente. Hanno pure tirato in mezzo questa tedesca [Christa Margot Frohlich, la militante di sinistra arrestata nel 1982 a Fiumicino con dell’esplosivo e iscritta dalla procura di Bologna un anno fa nel registro degli indagati insieme a Thomas Kram nell’ambito degli accertamenti sulla pista palestinese, ndr], non ho mai capito perché. Di lei dicono che per fare un attentato come quello a Bologna arriva in città, si fa vedere e dà informazioni personali sul suo conto. Questa operazione porta da una parte sola: negare responsabilità politiche storicamente documentate. Insomma, in tutto questo, chiamare in causa Di Vittorio potrebbe essere un altro caso Valpreda a 32 anni di distanza. Lo ripeto: della sua esistenza ne siamo venuti a conoscenza qualche mese fa. Abbiamo cercato di capire chi potesse essere, se effettivamente avesse potuto avere qualche aggancio con il movimento, ma era sconosciuto. Nessuno ha quindi nemmeno saputo che era morto a Bologna”.