Dopo la scarcerazione di ieri del “re delle mozzarelle” Giuseppe Mandara, oggi il tribunale del Riesame di Napoli ha disposto anche il dissequestro del caseificio Mandara di Mondragone (Caserta) di proprietà dell’imprenditore tornato in libertà. I sigilli erano stati messi nelle settimane scorse dalla Dia perché gli inquirenti ritenevano che Mandara fosse coinvolto in riciclaggio di denaro del clan camorristico La Torre, attivo nella zona. Chi ha condotto le indagini infatti ha ipotizzato che le recenti fortune del caseificio fossero legate proprio all’attività di “pulizia” del denaro proveniente da attività illecite, come ha raccontato fra gli altri Augusto La Torre, pentito di camorra le cui dichiarazioni non sono sempre state ritenute affidabili. L’avvocato difensore di Mandara, Vittorio Guadalupi, ha espresso tutta la sua soddisfazione, in quanto i magistrati hanno accolto entrambe le sue richieste.

L'”Armani delle mozzarelle” questo il soprannome che l’imprenditore si è dato, ha costruito un vero e proprio impero economico internazionale. Quasi 200 dipendenti, 78 mila pezzi di mozzarella di bufala prodotti al giorno, commercializzati anche con i marchi Coop e Conad. Questi i numeri del gruppo Mandara (Ilc Mandara spa). Il patron quando è stato arrestato è stato accompagnato dietro le sbarre anche dal collaboratore e sodale Vincenzo Musella, anche lui con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Ma non è l’unico dato che emerge dall’inchiesta “Bufalo”, l’altro elemento inquietante per i cittadini consumatori è relativo alla commercializzazione di prodotti con falso marchio dop e ad una partita di mozzarelle, periodo 2008, distribuite anche se contenenti frammenti di porcellana.

Le fortune di questa grande azienda però potrebbero derivare da copertura ai latitanti, assegni cambiati, omaggi ai capi clan con regali, mediazione di tangenti da altri imprenditori, come raccontato da diversi collaboratori di giustizia e come verificato dagli investigatori. In più Mandara è già stato condannato per falsa testimonianza per aver fornito un falso alibi pur di salvare dall’accusa di duplice omicidio il boss Augusto La Torre.

Tutto sarebbe iniziato nei primi anni ottanta quando il “re delle mozzarelle” avrebbe chiesto aiuto al capoclan Tiberio La Torre, padre del collaboratore. Nel marzo 2011, Augusto La Torre ha raccontato: “Ci propose di entrare in società con lui nella quota societaria che lui avrebbe acquistato, quota rilevante perché avrebbe potuto gestire la società e dunque l’attività, divenendo sostanzialmente il proprietario”. Mandara già dipendente del gruppo, avrebbe offerto il know how mentre la camorra i soldi. Un patto perfetto. “Giuseppe Mandara disse che che aveva bisogno di circa 400 milioni per l’acquisto delle quote – Mandara non aveva denaro – e circa 300 milioni per ‘pulire’ i suoi debiti”. E così il padre di Augusto La Torre gli avrebbe dato 700 milioni di lire. L’accordo prevedeva la divisione degli utili e la restituzione dell’iniziale prestito. “Ogni mese Mandara – continua La Torre – garantiva versamenti corrispondenti all’andamento dei ricavi ed a fine anno si facevano i conguagli rispetto alle somme già versate mensilmente, conguagli variabili e che vedevano comunque versamenti integrativi”. 

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“Nel nome dello Zio”, la camorra vista attraverso il Grande Fratello

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