“Ghost Town“. Una città fantasma. Così è rappresentato il centro di Londra oggi dai principali quotidiani britannici. Deserte le strade dello shopping, i centri commerciali, i teatri, i musei e i ristoranti del West End (la zona centrale di Londra). Se durante la cerimonia di apertura di Londra 2012 il regista Danny Boyle inneggiava all’opulenza, Londra si è invece trasformata nell’incubo che l’autore di Trainspotting ha raccontato in suo film successivo: l’horror 28 Giorni Dopo nel quale la capitale britannica, a seguito di un virus, non ospitava più alcuna forma di vita. E secondo esercenti e commercianti il virus che ha desertificato oggi la città, rendendo Oxford Street meno popolata del deserto del Sahara, è quello delle Olimpiadi 2012.
Bernard Donoghue, responsabile della Association of Leading Visitor Attractions, spiega: “Mancano due tipi di persone. I turisti, che spaventati dal caos olimpico hanno preferito tenersi lontani dalla città. E i londinesi, che a furia di essersi sentiti dire di non prendere i mezzi all’ora di punta o di evitare i luoghi più trafficati, se ne sono rimasti a casa”. Se in media Londra ospita 300 mila turisti stranieri, oggi sono 100 mila. Un disastro per business medio-piccoli. Soprattutto per quelli del centro. Gli unici che sembrano fare affari sono quelli del centro commerciale Westfield a Stratford, passaggio obbligato dall’uscita della metropolitana per chi voglia raggiungere il Parco Olimpico. Lì ogni piccolo esercizio è preso d’assalto da una folla scatenata, in centro regna la noia.
Già gli albergatori si erano lamentati che, nonostante i prezzi abbassati in media di un terzo, le stanze sono rimaste desolatamente vuote per il periodo olimpico. Loro lavorano sulle prenotazioni e quindi avevano annusato l’aria con anticipo. Ora tocca agli altri. Mark Rubinstein, presidente della Society of London Theatre, dice: “Normalmente i turisti si dirigono in centro ma adesso i pochi che ci sono vanno a vedere le Olimpiadi e i londinesi, terrorizzati dalle paranoie sulla sicurezza e sulla mobilità, evitano il West End”. Gli fa eco una portavoce del British Museum: “Al momento le visite sono diminuite del 25-30% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso”. Alcuni negozi storici del centro denunciano cali nelle vendite fino al 70%.
A Covent Garden i negozianti parlano di crolli nelle vendite clamorosi: “Mai vista una cosa simile”. Mentre i manager dei ristoranti di Soho, seduti sconsolati nei loro locali vuoti spiegano: “Non vengono più nemmeno i clienti abituali, figuriamoci i turisti. I pochi che ci sono, sono tutti al Parco Olimpico e dopo avere speso tutti i soldi lì si guardano bene dal venire in centro”. Un flop di dimensioni olimpiche, cui il sindaco di Londra Boris Johnson cerca disperatamente di porre rimedio. E dopo aver riempito le metropolitane e gli autobus di messaggi registrati con la sua voce che consigliavano di starsene a casa, ora invita turisti e londinesi a godere della magnifica città. Altro clamoroso boomerang le Olympic Lanes, le corsie preferenziali che non hanno fatto altro che creare ingorghi e intasare il traffico. Una per una le stanno abolendo tutte, riconoscendo il clamoroso errore.
Dalla paranoia all’esagerato ottimismo. Come l’orchestra che suona mentre il Titanic affonda, il Ministro dello sport Jeremy Hunt sogna dati e numeri immaginari e dice: “A Londra non c’è mai stata così tanta gente”. E il sindaco Johnson, attaccato oramai anche dai quotidiani conservatori per il clamoroso fallimento olimpico, imperterrito insiste: “Le cose stanno andando a meraviglia, in giro ci sono migliaia di turisti, gli alberghi sono pieni e i siti olimpici attraggono spettatori entusiasti che si divertono e consumano in giro per la città”. Sembra di risentire quel primo ministro che mentre il paese era in recessione continuava a negare la crisi e raccontava che ristoranti erano pieni. La fine è nota.