Raffaele Lombardo si è dimesso e la Sicilia si avvia verso nuove elezioni in ottobre. Il governatore siciliano ha parlato di violazione dell’autonomia siciliana riferendosi alla richiesta di sue dimissioni da parte del governo italiano. Ma c’è stata davvero questa violazione?

La Costituzione italiana attribuisce allo Stato il compito di salvaguardare la stabilità finanziaria della Repubblica e quindi impone che siano presi tutti i provvedimenti necessari per tutelarla. La Sicilia è regione a statuto speciale ma è soggetta, al pari di tutte le regioni, a questa sovranità dello Stato sulla stabilità. L’articolo 8 dello Statuto regionale, del resto, prevede la possibilità di un commissariamento della regione e di uno scioglimento dell’assemblea regionale (si veda a riguardo Massimo Bordignon su il Sole24 ore del 19.07.2012).

La Regione Sicilia incassa i 10/10 del gettito Irpef, mentre le altre regioni a statuto speciale incassano i 9/10 del gettito. Questo significa che le altre regioni a statuto speciale contribuiscono per 1/10 alle spese della nazione, ad esempio, ai costi dell’esercito o dei carabinieri, la Sicilia no. Neanche un euro del gettito fiscale raccolto in Sicilia viene versato per pagare ad esempio le forze armate. Non solo. Ma nonostante la regione siciliana trattenga una fetta così ingente dei tributi erariali riferibili al proprio territorio, poi non li usa per finanziare i servizi a livello locale. La maggior parte dei servizi sono pagati dallo Stato. Si pensi che lo Statuto prevede che la scuola elementare in Sicilia sia finanziata dalla regione, ma così non è. Anche in questo caso è Roma che paga. Tutt’altra è la situazione ad esempio della Provincia di Trento o di Bolzano dove molti servizi pubblici sono finanziati dalle province e non dallo Stato nazionale. La Sardegna, ad esempio, trattiene solo i 7/10.

In sostanza è lo Stato italiano che paga tutti i servizi pubblici in Sicilia.

Il gettito delle imposte raccolte nella regione finisce così per essere speso per assumere un numero esorbitante di dipendenti della Regione stessa.  

La Regione Sicilia ha infatti 17.995 dipendenti, pari a cinque volte i dipendenti della Regione Lombardia che ha il doppio degli abitanti della Sicilia. La Regione ha un dirigente ogni sei dipendenti.
Vanno poi aggiunti 717 dipendenti pagati dalla Regione e distaccati presso altre strutture. Vi sono poi 2293 dipendenti assunti con contratti a tempo determinato. E va tenuto conto che le varie società controllate dalla Regione (34 società) hanno altri 7291 dipendenti. Se si sommano tutte queste persone iscritte sul libro paga della Regione si arriva al numero pazzesco di 28.296. A questi si sommano poi i lavoratori socialmente utili, che ammontano a 24.880.

Le spese per i dipendenti della Sicilia ammontano a 760 milioni di euro all’anno e se si aggiungono gli oneri sociali si arriva a 1 miliardo e 80 milioni, somma pari a metà circa di quanto spendono tutte le 15 regioni a statuto ordinario per pagare i loro dipendenti. La Sicilia ha un disavanzo di competenza pari a 4 miliardi nel 2011, coperto da un mutuo di un miliardo e dall’avanzo di amministrazione che la Corte dei conti definisce “voce contabile tanto suggestiva quanto discutibile.

Molte informazioni interessanti sulla finanza pubblica della Regione siciliana possono essere tratte dalla relazione della Corte dei conti.

Nel 2011 la spesa della regione siciliana è cresciuta di 300 milioni di euro, nonostante le entrate fossero cadute del 13 per cento, equivalente a un minor incasso per 1,7 miliardi di euro. Il disavanzo del 2011 si è aggiunto a quello del 2010, anch’esso coperto con un mutuo e con il solito “avanzo di amministrazione”. Questo avanzo sarebbe costituito da residui attivi che è difficile ritenere ancora esigibili. Altre regioni infatti non li riportano nel loro bilancio.

A fronte di questi conti purtroppo la Sicilia non mostra tuttavia risultati particolarmente brillanti in termini di occupazione o di crescita economica. E’ utile intervenire per tempo, prima cha la Sicilia si trasformi in un’altra Grecia e che qualcun altro sia chiamato a pagare per i debiti accumulati.

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