Il vicepresidente del Csm Michele Vietti ha proposto di tutelare per legge chi è intercettato nell'ambito dell'indagine pur non essendo indagato. La norma però nasconde un trucco, perché chi 'non è indagato' non è detto che non lo sarà. E' il caso degli amici dei furbetti del quartierino, della cupola vicina a Moggi e di tanti altri 'terzi'
Messa come la dice il vicepresidente del Csm Michele Vietti al Fatto, pare una norma ragionevole: “La priorità è tutelare i soggetti terzi che vengono intercettati, ma si trovano fuori dal processo… Trovare una misura che, a un certo punto dell’iter d’indagine, obblighi a tutelare i soggetti terzi, senza intaccare né le indagini né la possibilità di pubblicare gli atti riguardanti un procedimento (la famosa “udienza filtro” davanti al gip, in cui pm e avvocati difensori si accordano per la distruzione di tutto il materiale che coinvolge persone non indagate, ndr)… Almeno si trovi il modo di far uscire di scena subito chi non c’entra”.
Si dirà: se uno non c’entra, perché dovrebbe finire sui giornali accanto a chi c’entra? Insomma, pare che lorsignori abbiano trovato un ottimo argomento per far digerire il nuovo bavaglio all’opinione pubblica (i partiti non c’è bisogno di convincerli, specie ora che li spalleggia pure Napolitano). Peccato che quell’argomento nasconda il trucco, come dicevano fino a pochi mesi fa Anm, Csm, giornali e partiti di centro e di centrosinistra contro il bavaglio Alfano, che già prevedeva il “lodo Vietti” (“E’ sempre vietata la trascrizione delle parti di conversazioni riguardanti fatti, circostanze e persone estranee alle indagini. Il tribunale dispone che i nomi o i riferimenti identificativi di soggetti estranei alle indagini siano espunti dalle trascrizioni delle conversazioni”).
Oggi si sono scordati tutto. Vediamo cosa accadrebbe se il bavaglio bipartisan “ad Quirinalem” diventasse legge. Si fa presto a dire “terzi”. Chi sarebbero i soggetti “terzi” da tutelare? Tutti i non indagati o solo le persone che non c’entrano nulla con vicende di cui si indaga, ma si ritrovano intercettate casualmente sul telefono della persona coinvolta e intercettata? La categoria dei “non indagati” è troppo vasta: comprende anche i “non ancora indagati”, cioè le persone coinvolte in una vicenda su cui si indaga, e magari intercettate (si possono intercettare anche i non indagati), sulle quali non gravano ancora sufficienti indizi per poterle indagare, ma magari alla fine delle intercettazioni si deciderà di indagarle proprio grazie alle prove raccolte dalle intercettazioni o da altre attività investigative in corso.
Tipo Mancino: non era indagato quando i magistrati di Palermo iniziarono a intercettarlo, poi dichiarò sotto giuramento in tribunale di non aver saputo nulla dei colloqui fra il Ros e Ciancimino, ma fu smentito da Martelli e alla fine fu inquisito per falsa testimonianza. Intanto aveva parlato otto volte con D’Ambrosio e due volte con Napolitano per chiedere aiuto al Quirinale contro i pm di Palermo. Leviamo di mezzo quelle con Napolitano che i pm hanno già ritenuto irrilevanti e, se la difesa di Mancino non ha nulla in contrario, il gip distruggerà al termine dell’apposita udienza (salvo che la Consulta non dia ragione al conflitto del Quirinale, nel qual caso i difensori non avranno più alcuna voce in capitolo, con tanti saluti al contraddittorio). Se fosse già in vigore il nuovo bavaglio, che dovrebbero fare i giudici? Distruggere o segretare tutte le telefonate di Mancino, anche quelle con D’Ambrosio che i pm ritengono rilevanti per le parole di Mancino, in quanto Mancino fu intercettato quando non era ancora indagato, ma mentre parlava con D’Ambrosio di come inquinare le prove e ostacolare il processo? Oppure solo quelle con Napolitano?
Nel primo caso, una legge che lo prevedesse sarebbe assurda, visto che il Codice di procedura penale consente di intercettare anche i non indagati. Nel secondo caso, invece, non ci sarebbe bisogno di una nuova legge, visto che già oggi l’articolo 269 Cpp prevede la distruzione dei nastri giudicati irrilevanti da tutte le parti. Omissis intermittenti. Seconda questione: i pm ritengono rilevanti le telefonate Mancino-D’Ambrosio per quel che dice Mancino, non per quel che dice D’Ambrosio (interrogato e non indagato).
E che si fa per tutelare il “terzo” D’Ambrosio salvando le parole di Mancino? Si distruggono solo quelle di D’Ambrosio? E come? Si fa il taglia e cuci delle bobine montando solo la voce di Mancino, trasformando il dialogo in monologo, così non si capisce più nulla? Abbiamo provato a salvaguardare il “terzo” D’Ambrosio coprendo di omissis le sue parole con Mancino: l’informazione diventa enigma, sciarada, rebus. Comicità pura.
Il penale e il politico – In realtà, per tutelare i soggetti terzi, già bastano e avanzano le leggi esistenti. Se un’intercettazione è totalmente irrilevante, il giudice, sentite le parti, la distrugge ed è morta lì. Se invece è rilevante, è inevitabile che uno dei due interlocutori sia un “terzo”. Ma, se il terzo è un quivis de populo, la conversazione non interessa a nessuno e nessun giornale la pubblica. Se Mancino chiama il macellaio per ordinare un chilo di bistecche, i giornali se ne infischiano. Ma, se per sbaglio o stupidità citano anche le bistecche, il macellaio non subisce alcun danno. Se poi si sente leso nella privacy o nella reputazione perché parlava anche di malattie o della sua amante, ha già tutti gli strumenti (il Codice della privacy e le norme sulla diffamazione) per avere giustizia. Ma non è certo per tutelare i macellai che i politici vogliono il bavaglio: è per tutelare se stessi e gli altri personaggi pubblici beccati al telefono con fior di farabutti. In questi casi, anche se le loro parole sono penalmente irrilevanti, posson essere rilevantissime dal punto di vista politico, etico, deontologico, disciplinare. E il cittadino ha il sacrosanto diritto di conoscerle.
All’insaputa del popolo italiano – La Giustizia è amministrata “in nome del popolo italiano”, che deve poterne controllare il corretto funzionamento nella massima trasparenza. Così i magistrati pavidi o pigri o collusi o corrotti, che invece di indagare un potente lo considerano “soggetto terzo” per non disturbare il manovratore, finiscono sputtanati sulla stampa, che dimostra, intercettazioni alla mano, come quel “terzo” dovrebbe essere indagato. Invece la distruzione delle intercettazioni dei “terzi” consentirà ai magistrati insabbiatori eterna licenza di insabbiamento. “All’insaputa del popolo italiano”. Non solo: all’udienza filtro sono presenti il gip, i pm, gli avvocati, i cancellieri: i quali sanno dell’esistenza di una telefonata fra Tizio e Caio e l’ascoltano prima che venga distrutta. Dunque, soprattutto gli avvocati che non sono tenuti al segreto d’ufficio, potrebbero raccontare in giro che quella telefonata c’era. E magari ricattare gli interessati per non divulgarla. O minacciare rivelazioni false o lanciare allusioni infamanti su Caio intercettato indirettamente, che davvero non ha detto nulla di male, ma non può più dimostrare la propria correttezza perché i nastri sono scomparsi, e dunque finisce in quel “tritacarne mediatico” che gli autori del bavaglio dicono di volergli risparmiare.
Benedette intercettazioni – Se un “terzo” estraneo alle indagini non dice e non fa nulla di male, la pubblicazione delle sue parole dimostra che s’è comportato bene. Nell’inchiesta Abu Omar, lo 007 del Sismi Marco Mancini tentò di salvarsi dai magistrati raccomandandosi a Cossiga e Scalfaro. Cossiga si mobilitò subito attaccando e denunciando a Brescia i pm Pomarici e Spataro che indagavano sul sequestro. Scalfaro invece non mosse un dito (diversamente dal suo successore Napolitano con Mancino): anzi, suggerì a Mancini di rivolgersi ai pm. Infatti non si lamentò dell’uscita delle telefonate: si era comportato da uomo di Stato. Altro caso: nell’inchiesta campana sui coniugi Mastella, emergeva un concorso truccato per l’assunzione di geologi in un consorzio, vinto da somari raccomandati, grazie all’esclusione truffaldina del candidato che era risultato il migliore all’esame: Vittorio Emanuele Iervolino. Il quale non solo non era indagato, ma addirittura vittima. La sua vicenda finì nelle intercettazioni e sui giornali. Lui ne fu felice: tutti seppero che era il più bravo. E subito ricevette offerte di lavoro da aziende private.
Prova su strada – A fine luglio 2005 il gip Forleo sequestra le plusvalenze dei furbetti del quartierino impegnati nella scalata illegale della Popolare di Lodi all’Antonveneta, intrecciata con quella dell’Unipol alla Bnl e di Ricucci alla Rcs sotto l’alta protezione del governatore di Bankitalia Antonio Fazio. Che però, diversamente da Fiorani e dagli altri furbetti, non è ancora indagato (lo sarà ufficialmente solo a fine settembre e poco dopo si dimetterà). Ma la figura centrale è proprio Fazio, che rivela a Fiorani in anteprima di aver firmato il via libera alla scalata e gli dice di andarlo a trovare in Bankitalia “passando dal retro”. Lo scandalo principale sono proprio i rapporti intimi fra controllore e controllato. Se il bavaglio fosse stato già in vigore, non avremmo saputo nulla per mesi del ruolo di Fazio, che invece dovette dimettersi proprio perché da fine luglio autorità politiche nazionali e finanziarie internazionali lo giudicarono incompatibile col suo ruolo di sorveglianza. Idem per Calciopoli: le intercettazioni di Moggi & C. coinvolsero un nugolo di giornalisti asserviti alla cupoletta: da Biscardi a Damascelli, da Melli a Sposini, a vari uomini Rai, poi sanzionati dall’Ordine. Col bavaglio in vigore, nessuna sanzione disciplinare sarebbe stata possibile: le telefonate dei giornalisti, penalmente irrilevanti , sarebbero andate distrutte. Poi ci sono gli infiniti casi di intercettazioni indirette che hanno coinvolto B. sui telefoni di Saccà, Cuffaro, Innocenzi, e Olgettine varie. Pagare ragazze maggiorenni in cambio di sesso non è reato: ma, per un premier che per giunta sfila al Family Day, è un’indecenza: tutto distrutto. Idem per le manovre per piazzare le sue favorite alla Rai tramite produttori compiacenti: come se gli abbonati Rai non avessero diritto di sapere come vengono spesi i soldi del canone.
Caso P3: emerge che almeno cinque giudici della Corte costituzionale anticiparono il loro verdetto favorevole al lodo Alfano al faccendiere Pasqualino Lombardi, legatissimo a vari alti magistrati: siccome questi non sono reati, il bavaglio avrebbe imposto di bruciare tutto. Come se i cittadini non dovessero conoscere le deviazioni dei massimi presìdi di legalità. Scandalo Bisignani: a parte i reati contestati al faccendiere della P2 e della P4, emerge una fittissima rete di rapporti ambigui e scambi di favori con politici, affaristi, imprenditori, giornalisti, manager pubblici e privati, che sono illeciti in tutti i paesi d’Europa fuorché in Italia, dove ancora non è reato il traffico d’influenze e chi lo commette rientra nella platea dei “terzi” di cui parla Vietti: il bavaglio avrebbe cancellato tutto. Infine, l’inchiesta sulla cricca della Protezione civile: Pierfrancesco Gagliardi, l’imprenditore che sghignazzava al telefono con Francesco De Vito Piscicelli la notte del terremoto de L’Aquila, pronto a tuffarsi nel business della ricostruzione (“qui bisogna partire in quarta subito, non è che c’è un terremoto al giorno”), all’inizio non era indagato: col bavaglio già in vigore, nessuno avrebbe potuto pubblicare le sue parole. Più che a favore dei terzi, è un bavaglio per conto terzi.
da Il Fatto Quotidiano del 2 agosto 2012