Non ne posso più della macelleria mediatica che si fa dei vinti e vincitori (fra i pochi atleti che mi hanno fatto simpatia l’arciere cieco coreano Dong-hyun, uno che non vede il bersaglio, ma lo “sente”).
Voglio invece parlarvi dello sport che più sta crescendo al mondo. Non si tratta del windsurf, né del wakeboard, né di surf, è la fusione di tutte queste discipline. E adesso il Kitesurfing è stato appena promosso a classe olimpica e sostituisce il windsurf a partire dai Giochi di Rio 2016. La notizia appena arrivata dal Meeting ISAF di Stresa ha provocato un gran bel subbuglio nel mondo velico internazionale. E anche di questo chissene…
Ma c’è un angolo della Grecia dove non si parla di spread e di euro che cola a picco, c’è un lembo di spiaggia incontaminata (pardon, la parola è abusata, ma quando ce vo’, ce vo’) dove un gruppo di ragazzi, di diversa nazionalità, olandesi, francesi, austriaci, italiani, svizzeri e ovviamente greci, tra i 20 e i 30 anni, dunque in età, particolarmente a rischio categoria precari e disoccupati hanno imparato a “volare” con la tavola ai piedi. E lo fanno insegnando al Kite ProCenter di Paros, perla delle Cicladi. Una via di mezzo fra un ciringuito di Formentera e una beach house alle Hawaii, dove tra l’altro lo sport è nato, zigzagando sulle onde.
Qui non tira una brutta aria come nel resto d’Europa, qui il meltemi, un vento secco e fresco che soffia nell’Egeo, particolarmente d’estate, un po’ come il nostro maestrale, gonfia le vele degli aquiloni. Sono uno spettacolo, sembrano tante farfalle nel cielo. Quando invece i kite sono a riposo sulla spiaggia, in attesa di spiccare il volo, hanno l’aria più minacciosa e assomigliano a giganteschi pipistrelli con le ali spiegate. Si chiama Giacomo Pescasio, 27 anni, di Mantova, nonno avvocato, papà avvocato, fratello più grande avvocato, sembrava che il suo destino fosse già scritto, invece è “volato” a Paros e insegna Kitesurfing.
All’incertezza dei tempi ha preferito sospirare davanti a un sogno di libertà e la laurea in giurisprudenza, alla quale manca poco, può aspettare. Gli altri si chiamano Dimitri Softas, il numero uno in Grecia, Nico Etienne, campione francese in erba, Sebastian, Florian… E c’è la bella olandesina Sandra Aan de Stegge che starebbe benissimo anche sulla copertina di Sports Illustrated, fatica e sudore, si sta preparando alle prossime Olimpiadi. 1500 euro al mese, lavorano 8/10 ore al giorno, day off solo quando cala il vento. E’ il loro modo di “cavalcare” la crisi. Senza dover diventare delle federichepellegrini, icone “gonfiate” e “sgonfiate” dallo sport/star/system, c’è anche un’altra maniera di vivere lo sport che paga e ripaga.
In India, per esempio, dove non è che stanno molto meglio di noi, agli atleti che vinceranno una medaglia alle Olimpiadi di Londra il governo ha promesso, a fine carriera, un posto fisso all’Autorità Nazionale dello Sport. Lorenzo,18 anni, figlio di una mia amica, ha già le idee chiarissime: “Cosa me ne faccio di una laurea, tanto non si trova lavoro. Meglio imparare a volare… Poi si vedrà”. Come dargli torto?
Se come dice Shakespeare nel verso più famoso de La Tempesta “Noi siamo fatti della sostanza dei sogni”, ce la possiamo ancora fare, con un aquilone sopra di noi e una tavola sotto i piedi