Da tempo in Cina, specie a Pechino, ci si interroga sulle ragioni della mancanza di taxi per le strade. Da un giorno all’altro è diventato difficile trovarne uno disponibile. Non si tratta di una domanda effettuata da pochi privilegiati, perché il taxi in Cina ha costi talmente bassi che ormai è considerato una specie di mezzo di trasporto popolare, specie di fronte ad una classe media urbana che aumenta ogni giorno. La corsa media infatti, non è quasi mai superiore ai due euro.
Da qualche tempo, anche a causa di frasi abbozzate dagli stessi tassisti, è cominciata a girare la voce che fosse in corso uno sciopero bianco: il tassista cinese, infatti, deve pagare una cifra mensile molto alta per garantirsi l’auto, cui va aggiunto un indennizzo a discrezione dell’azienda che lo assume. Le tariffe poi sono basse e il traffico delle città cinesi li spinge a lavorare sempre di più, ma a guadagnare sempre di meno. Così molti hanno scelto di protestare non usando l’auto, ma senza dire niente. Le motivazioni della scarsa pubblicità alla propria forma di protesta sono chiare: chi negli anni scorsi ha sfidato apertamente le autorità, dichiarandosi in sciopero, è finito in carcere con una condanna ad un anno per aver minato “la quiete sociale”.
Sono fatti che risalgono all’anno scorso e che negli ultimi giorni sono stati resi pubblici da alcuni media locali e ripresi poi da testate in inglese, come ad esempio il Global Times, un quotidiano solitamente su posizioni molto nazionalistiche e vicine al partito. Al fine di garantire un reddito di 5mila yuan (quasi 650 euro al mese) alcuni taxisti hanno affermato di lavorare 12 ore al giorno e di avere troppa paura di partecipare a qualsiasi protesta o sciopero: “Ho una famiglia da mantenere” ha dichiarato uno di loro.
La rivista di economia Caijing, ha riportato gli ultimi dati sugli scioperi dei tassisti, concentrati negli ultimi 4 anni: quelli di Chongqing sono scesi in sciopero nel mese di agosto del 2008 e furono seguiti dai conducenti di Sanya, ad Hainan, nel mese di novembre. Poi è toccato alla provincia dell’Heilongjiang, nel 2009, quella dell’Henan nel 2010 e quella del Fujian nel 2011.
“I tassisti che hanno organizzato lo sciopero sono stati condannati ad un anno di prigione, perché accusati di minare la stabilità sociale”, ha affermato un autista. Altri che sono scesi in sciopero sono stati puniti e la punizione sarebbe stata estesa anche ai luoghi di nascita dei leader della protesta, come spesso accade anche con i più temuti dissidenti. Altre persone collegate agli scioperanti, infatti, che in altri luoghi hanno fatto richiesta di diventare tassisti, sarebbero stati inseriti in una specie di “lista nera”.
La situazione è altrettanto difficile per i conducenti di Pechino, finiti nell’occhio del ciclone insieme alle autorità durante i giorni dell’alluvione. Quando il 21 luglio Pechino è stata colpita dalla pioggia più pesante degli ultimi sessant’anni, i tassisti sono scomparsi dalle strade. Quando ha smesso di piovere, molti di loro si sono presentati all’aeroporto di Pechino, secondo la testimonianza espressa su Weibo (il twitter locale) da molti cinesi, chiedendo ai passeggeri in direzione del centro, 500 yuan invece della tariffa normale di 60-70 yuan (meno di 9 euro). “Siamo spesso da biasimare, ha affermato un autista, come in questi casi durante l’alluvione, ma chi conosce realmente la nostra situazione e chi è disposto a parlare in nostra difesa?”
Secondo l’autista intervistato dal Global Times, il suo accordo con l’azienda che gli “affitta” l’auto gli consentirebbe di avere circa 5mila yuan al mese di stipendio. Ogni mese però deve pagarne 5900 all’azienda, compresa l’assicurazione, guidando 13 ore al giorno”. La cifra che riesce a tenere per sé sarebbe di 4mila yuan al mese, circa 500 euro.
Secondo Ma, il nome del conducente, il motivo principale degli scarsi guadagni, insieme ai soldi da pagare alla sua azienda, sempre più tassata a sua volta, è il traffico. Motivo per cui molti tassisti hanno deciso di “scendere” in strada solo nelle ore migliori, dal punto di vista della viabilità.
di Simone Pieranni