Sandro quando sta per arrabbiarsi comincia dagli oggetti. Racconta che mentre “monta la rabbia” lui inizia a spostare con una certa irruenza tutto quello che gli sta attorno. Le posate, i bicchieri o anche i giochi dei suoi tre bambini che adora. Giuseppe, quando ha saputo che la sua ex compagna aveva fatto battezzare la loro figlia senza dirglielo, non ha capito più niente. Ha tentato di trattenersi durante quella telefonata in cui le ha anche chiesto se la festa era stata bella poi, però, è finito al pronto soccorso con un attacco di panico provocato dalla rabbia. “Non ho mai alzato le mani su una donna. Ma se in quel momento avessi avuto davanti qualcuno sarei finito in questura” ammette. L’altra faccia della violenza domestica e familiare ha la voce di quegli uomini che svelano la loro storia; lo fanno con grande fatica e profonda vergogna di se stessi. “Un sentimento che provano immediatamente dopo il loro atto di rabbia”, assicura Massimo Mery, psicologo della squadra dell’unico consultorio per soli uomini attivato dalla Caritas della diocesi di Bolzano-Bressanone.

Oltre 3500 richieste di aiuto in undici anni di attività svolta nel cuore della città. “La violenza può nascondersi in qualsiasi casa – assicura Mery – anche dietro le costose montature di occhiali neri indossate da signore benestanti che preferiscono celare i segni dei maltrattamenti”. Sandro, a causa della crisi, ha dovuto chiudere la sua attività e a 52 anni si trova disoccupato. Ha tre figli piccoli avuti dalla sua seconda compagna che svolge più lavori, per poter portare avanti la famiglia. “La mia è una violenza solo verbale ma inarrestabile”, ammette l’uomo di corporatura esile che sembra perdersi nei jeans e nella maglietta che indossa. Quando descrive le sue sfuriate gli occhi diventano lucidi e il suo pallore viene incendiato dalla reazione della pelle. Sandro partecipa alle sedute-laboratorio del primo “Training anti-violenza”(modello europeo chiamato Change) per uomini violenti – denominati offender – promosso a Rovereto e Bolzano (proprio nel Consultorio per soli uomini) e al quale si è iscritto volontariamente su consiglio della psicologa.

Angelo, 46 anni, professione militare, è separato e al progetto Training si è iscritto per decisione del Tribunale dei minori dopo che la ex moglie lo ha denunciato per maltrattamenti. Lui però ripete di averlo fatto per difendere se stesso e i loro due bambini dalla furia della donna. In autunno lo attende la prima udienza del processo. I 28 incontri del corso rivolto alla violenza di genere sono bisettimanali. Prima di accedervi l’uomo che abbia usato violenza domestica deve firmare un contratto con il quale si impegna a cessare immediatamente qualsiasi forma di prevaricazione, sia psicologica che fisica. Chi si iscrive impara a “guardarsi nello specchio” dei racconti di altri uomini perché, secondo gli esperti, “non è facile per nessun maschio ammettere un atteggiamento sbagliato”. L’obiettivo dell’iniziativa della Caritas di Bolzano è imparare a riconoscere e gestire le proprie emozioni che provocano reazioni violente. Dal gruppo, al quale si può accedere in ogni momento, sono esclusi soggetti con gravi problemi psicologici o dipendenze. I conduttori sono due esperti della materia, un uomo e una donna. Michela Bonora, 26 anni e una tesi di laurea sugli uomini violenti, conduce il gruppo assieme a Massimo. Michela è una sorta di elemento di disturbo, in quanto donna. “Nel nostro percorso non parliamo mai di colpe ma di responsabilità. All’inizio i maltrattanti non sanno neppure definire la loro violenza, tendono a minimizzare e a difendersi. Poi però basta che uno di loro ammetta che gli altri proseguono”.

Secondo l’Istat, il 31,95 per cento delle donne in Italia ha subito almeno una volta una violenza, ma il 93% non la denuncia e sono decisamente in aumento i “femminicidi”. “Perché nessuno va a indagare i motivi per i quali avvengono? – interviene Angelo che poi prosegue – Non è sempre colpa dell’uomo, ma intanto noi passiamo per quelli che in qualsiasi modo hanno torto. In alcuni casi siamo i mostri da sbattere in prima pagina”. Età media 40 anni, buona scolarizzazione, stranieri ma anche madre lingua italiana e diversi madre lingua tedesca, queste sono le caratteristiche del profilo di chi ha seguito e segue il corso iniziato nel 2011 il cui presupposto è: la violenza non è una patologia ma un atteggiamento che può essere modificato. “Ti rovino la vita, avrai paura per sempre, ti distruggo con la tua macchina” sono esempi di minacce e intimidazioni raccontate dagli stessi autori che in alcuni casi, secondo Massimo e Michela, si giustificano poi dicendo “se solo sapesse cosa ho dovuto sopportare, io l’ho fatto per difendermi”, mentre nei casi di violenza fisica gli uomini innescano meccanismi difensivi adducendo scuse come “ho risposto ad una sua provocazione, è scivolata da sola, non sono stato io”.

Il metodo Change utilizzato a Bolzano, prevede la tecnica del Time out: in caso di tensione nella coppia uno dei due dice una parola-codice concordata e che identifica, come un campanello di allarme, lo stato emotivo oltre i limiti. L’uomo esce di casa per un periodo di tempo prestabilito e al ritorno si recupera il discorso. Spiegano Michela e Massimo come sia importante riuscire a trasmettere concetti come ad esempio il ciclo della violenza: la tensione iniziale rivolta alla compagna, alla moglie, alcune volte alla suocera, molto raramente contro i figli, poi l’esplosione con le azioni violente e le vessazioni. Infine la “luna di miele” del pentimento, magari l’impegno a non comportarsi più allo stesso modo. Ma troppo spesso, quelle della luna di miele, rimangono solo promesse, disattese.

da Il Fatto Quotidiano del 4 agosto 2012

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