Abu Imad (pseudonimo) ed io parliamo via Skype da parecchi mesi. L’ho conosciuto per caso, tramite un amico, che mi ha dato il suo contatto, dicendomi che è un attivista che sta a Homs. Con il passare dei mesi la nostra “corrispondenza” ci ha fatto diventare amici. Ieri notte quando l’ho sentito, Abu Imad era più felice del solito. “Sono andato in Libano con degli amici per qualche settimana e ora sono tornato a Homs” mi dice. Scherzosamente gli rispondo che si è meritato quella “vacanza”, visto che aveva passato un mese in prigione dove poi, purtroppo, era stato torturato.
“E a Homs come va?” gli domando incuriosito. “Va male. Io sto in uno dei tre quartieri dove la gente ancora vive. Il resto della città è un cumulo di macerie. Sono 60 giorni, forse oltre, che la città viene bombardata, siamo esausti” e aggiunge “una delegazione di cittadini si è recata proprio qualche giorno fa dal nuovo governatore. Sono andati per chiedergli, semplicemente, di far entrare almeno gli aiuti umanitari. Sai cosa ha risposto? Ha detto ‘non ci interessano più i civili a Homs. Bombarderemo quella città fino a raderla al suolo e trasformarla in un campo per bestie’. Sono pazzi”.
La conversazione la sposto, di proposito, al suo viaggio in Libano ma Abu Imad vuole parlare di politica “l’attentato a Damasco, in cui sono morti quei gerarchi del regime, è stato un bel colpo dell’ESL (Esercito libero siriano, ndr)” mi dice soddisfatto. “Cosa pensi di fare tu? Tornerai a lavorare nei media, cioè filmando, o andrai a combattere?” gli chiedo. “Ci hanno istigato ad andare a combattere, tu lo sai, hai visto quello che abbiamo fatto a Homs, le manifestazioni con decine di migliaia di persone e guarda come hanno ridotto la città. Nonostante questo non andrò a combattere, non so cosa farò” e aggiunge “so solo di essere disperato”.