Indagato per abuso d’ufficio. E siamo a quattro. A tanto, infatti, ammonta il numero di avvisi di garanzia incassati dal governatore calabrese Giuseppe Scopelliti che ieri, a margine del Consiglio regionale, ha dato la notizia ai giornalisti. “Sono stato convocato in Procura dal pm Dominijanni – ha detto – perché indagato per la vicenda che riguarda la nomina della dirigente Alessandra Sarlo”. Pur non avendo mai avuto esperienza in materia di controlli, la moglie del giudice Vincenzo Giglio era stata stata nominata dirigente generale esterno. Un ruolo che la donna non ha mai ricoperto: è stata solo per un breve periodo commissario dell’Asp di Vibo Valentia, l’azienda sanitaria sciolta per infiltrazioni mafiose.
Secondo gli inquirenti la nomina della Sarlo è il risultato di un giro di informazioni giudiziarie ‘riservate’ in cambio di aiuti politici, per soddisfare i desiderata della moglie del magistrato Giglio, arrestato dalla Procura di Milano assieme all’ex consigliere regionale Franco Morelli nell’ambito dell’indagine sui Lampada, la famiglia calabrese trapiantata in Lombardia. Avrebbe curato il riciclaggio di denaro sporco per conto della cosca Condello di Archi. Stando all’impianto accusatorio, infatti, il presidente della Corte d’Assise di Reggio Calabria, Vincenzo Giglio, avrebbe rivelato segreti investigativi al consigliere regionale in cambio della promozione della consorte. Promozione che, però, non sarebbe stata decisa solo dal politico di centrodestra finito in manette. Come ha sottolineato l’assessore Mimmo Tallini, anche lui indagato dalla Procura di Catanzaro, “si è trattato di una scelta collegiale” della giunta Scopelliti.
Da qui, l’obbligatoria iscrizione del presidente della Regione nel registro degli indagati da parte del pm di Catanzaro, Gerardo Dominijanni, che è il titolare di un’altra inchiesta sul governatore della Calabria. Scopelliti, in qualità di commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro della sanità, dovrà chiarire la ratio di alcuni provvedimenti assunti come il patto di legislatura con l’Aiop, la convenzione con l’università Magna Graecia di Catanzaro e il regolamento attuativo per l’accreditamento dei centri socio-riabilitativi.
A Reggio, le grane giudiziarie di Scopelliti non sono da meno: il presidente della Regione è in attesa del processo d’appello per la mancata bonifica della discarica di Longhi Bovetto. Una vecchia storia che risale ai tempi in cui era sindaco della città dello Stretto e che, in primo grado, gli è già costata una condanna a 6 mesi di carcere. Quello che, però, preoccupa di più il governatore della Calabria è il rinvio a giudizio nell’ambito del “caso Fallara” che prende il nome dalla dirigente comunale del settore Finanze e Tributi, morta misteriosamente nel dicembre 2010 dopo aver ingerito acido muriatico, a poche ore da un’accorata conferenza stampa durante la quale si era dichiarata disposta a chiarire tutti i suoi ‘errori’ ai pm Francesco Tripodi e Sara Ombra. Spese folli, bilanci truccati, casse del Comune raschiate fino all’ultimo centesimo per organizzare feste e balletti in riva allo Stretto e trasformare la città, passata agli onori della cronaca come il luogo in cui si è consumata la seconda guerra di mafia, in una “Reggio da bere”, capace di far cantare Elton John, Ricky Martin, i Duran Duran e di far passeggiare i tronisti della scuderia di Lele Mora.
Milioni di euro pubblici spesi in pochi anni per far ballare i reggini e (perché no?) creare consenso. L’esponente di punta del Pdl calabrese, il 20 luglio scorso, è stato rinviato a giudizio assieme ai tre revisori dei conti del comune di Reggio. Abuso d’ufficio e falso in atto pubblico: per i magistrati “avrebbero falsamente rappresentato, nella contabilità dell’ente, dati e circostanze determinando l’approvazione dei bilanci di previsione per gli anni 2008 e 2009 nonché quella del rendiconto di gestione per l’anno 2008”. L’inchiesta poggia le sue basi su una relazione redatta dai periti della Procura. Centinaia di pagine in cui i consulenti dei pm hanno stimato un “buco” di 87 milioni di euro, che sarebbero parte dei 170 milioni “certificati” dagli ispettori del ministero dell’Economia in merito al disavanzo maturato dal 2006 al 2010. Finanza creativa che ha rappresentato le fondamenta di un “modello Reggio” sbandierato come la soluzione di tutti i mali e rivelatosi, invece, la causa che sta portando al default un Comune già provato dalla pesantissima relazione della Commissione antimafia spedita in Calabria dal ministro dell’Interno per verificare i tentativi delle cosche di infiltrarsi nella cosa pubblica. A questo si aggiunge lo spettro del dissesto finanziario: una delibera della Corte dei Conti ha quantificato in 170 milioni di euro il deficit del Comune. Il crac è a un passo: i giudici contabili hanno evidenziato “la presenza di criticità e irregolarità rilevanti, sintomi di una situazione di squilibrio strutturale dell’ente”.