L’artista che oggi andiamo a conoscere è Dola J. Chaplin, un “singer songwriter bohémien” come ama definirsi, che lo scorso mese di aprile ha dato alla luce il suo album d’esordio intitolato “To The Tremendous Road” (Protosound Polyproject-Volume Records-Cramps-Edel), un disco che sa di America, grazie alla miscela rock, folk, blues e country, composto da undici canzoni che costituiscono i capitoli di un “diario di viaggio”, perché proprio da un viaggio per evasione è nato. Sfruttando la solitudine come strumento di crescita e di scoperta del mondo, nonché del proprio Io: è così che nasce questo disco, grazie a una particolare alchimia, con un mix di rabbia e dolcezza imprigionate dalla paura di esprimere palesemente le proprie emozioni, cosa da tenere in mente se si vuole comprendere a fondo l’artista.
Con un passato da chitarrista e bassista punk, Dola J. Chaplin con quest’album dimostra di poter aspirare a diventare un grande rocker. Se poi decidesse di cantare in italiano, anziché in inglese, potrebbe colmare un vuoto che in Italia c’è e si fa sentire da tempo. Troppo. Ed è per questo che abbiamo intervistato Dola J. Chaplin per conoscerlo meglio.
Chi è Dola J. Chaplin, qual è il tuo background artistico e come mai hai scelto questo nome d’arte?
Dola J. Chaplin è la porta che dà sul palcoscenico dove si assiste alla fusione tra l’alter ego e l’Io, per ricercare una maggiore libertà e sincerità nell’esternazione delle proprie emozioni. Il nome nasce con le canzoni e con la necessità di dare valore solo alle proprie storie come se si usasse una maschera. La metafora… la più potente.
Mi racconti come nasce il tuo disco, cos’è che l’ha ispirato e qual è il motivo che ti ha spinto a intitolarlo così?
Con John Paul Alexander (artista e musicista indiano, ndr) parlavamo della forza del movimento e di come un posto possa dominare la vita di una persona. Così partii per l’America per poi trasferirmi di nuovo in Inghilterra… è tra queste strade e tra le storie vissute che nascono queste tracce, che sono in tutti i sensi tracce e canzoni intese come orme di piedi su cemento o sulla sabbia. Il titolo To The Tremendous Road l’ho scelto per la dualità del significato ‘tremendous’, che è sia tremendo che felice, come solo la strada sa essere… com’è ai miei occhi ora.
Perché hai scelto di comporre in lingua inglese?
L’inglese è stata una scelta naturale. E per tornare al discorso di prima, se vuoi, anche questa scelta fa parte di quella maschera. In più ho la fortuna che oggi l’inglese è una delle lingue più diffuse al mondo, dunque mi ritrovo tra le mani uno strumento che mi permette di arrivare a quante più persone possibili… anche se la musica non è confinabile, per fortuna. Determinante è stato il fatto di vivere in paesi anglofoni. L’italiano è comunque la mia lingua madre, ma se vogliamo ‘certe cose è difficile dirle alla propria mamma’.
Musicalmente parlando come vedi e vivi la situazione culturale del Belpaese?
Lo vedo pieno di fermento, ma con grossa difficoltà di emersione. Secondo me è dovuto anche al poco ricambio generazionale e alla monopolizzazione di certi spazi da parte di alcune ‘strutture’ obsolete che con metodi altrettanto obsoleti continuano a inseguire un pensiero musicale poco artistico, solo di intrattenimento. È come avere dei quadri privi di senso utilizzabili solo per arredamento. Così vedo molti gruppi o solisti che stanno facendo un ottimo lavoro, ma con poca attenzione. Però sono fiducioso, alla fine ‘i buoni vinceranno’.
C’è un artista a cui ti senti affine? E se sì perché?
Mi sento affine con la ricerca artistica di John Paul Alexander che utilizza il romanticismo della pittura a olio riempiendola di blues, di sentimento, di storie, di essere qui ed esserci al cento per cento. Con lui ho iniziato a lavorare e continuiamo a girare e vivere e soprattutto ad ascoltarci, non più con occhi od orecchie, ma col cuore.
Qual è il disco che non dovrebbe mancare nella discoteca ideale?
Direi i maschietti MICAH P. Hinson And The Red Empire Orchestra. Perché guarisce e ferisce con la sua potenza. Per le femminucce direi Alela Diane con Wild Divine. Le donne negli anni Zero porteranno il vero cambiamento.
Davanti ai vari bivi della vita, come capire la strada giusta? Cos’è che ti ha spinto a scegliere di percorrere la strada musicale?
Non saprei, non so nemmeno se sia o no la strada giusta. Sicuramente è l’unica strada o l’unica via di uscita. In ogni caso è, come diceva qualcuno, ‘la cattiva strada’.
Internet e musica: come consideri questo connubio?
Internet, per come lo vivo, è un ottimo mezzo per trovare la musica più impensabile. Una vetrina immediata per capire cos’ha da dire un artista, ma poi subito a prendere il vinile o il cd al negozio… oppure al concerto. Il supporto fisico è di gran lunga più romantico di un freddo mp3. Quindi penso sia un ottimo connubio, basti pensare che molti gruppi non sarebbero mai usciti o quantomeno avrebbero incontrato più difficoltà nel farsi conoscere se non ci fosse stata la rete.
Hai una tournée in programma?
Stiamo organizzando per la prossima stagione, spero di riuscire a fare un tour promozionale del disco in tutta Italia e anche all’estero, anche in previsione di un prossimo viaggio in nord Europa. Spero di visitare quanti più festival possibili.