Un po’ per nostalgia e molto per professionalità, Bruno Pizzul si è ritrovato al centro dell’attenzione. Soprattutto in contesti che non frequenterebbe neanche sotto tortura, come i social network (ieri è stato a lungo trending topic su Twitter). E’ bastata una telecronaca in chiaro, dieci anni dopo i Mondiali 2002 quando lasciò la Rai, perché tutti si ricordassero di lui. Anche se mai se ne erano dimenticati. La partita era prossima all’inutilità, preliminari di Europa League tra Hajduk Spalato e Inter su La7. Giovedì sera, in contemporanea con l’oro del fioretto femminile alle Olimpiadi. I calciofili, però, in vacanza non vanno mai: probabilmente moriremo democristiani, di sicuro periremo tifosi. E così Pizzul, con la sua sobrietà ante litteram, ha fatto notizia.
Dalla tivù non era scomparso. A GiocoCalcio nel 2003/04, piattaforma anti-Sky chiusa dopo nove mesi. Quattro stagioni (dal 2005) sul digitale terrestre Cartapiù. Telecronista in differita delle repliche dei Mondiali 2006, trasmesse su La7 nel 2007 e 2010. Ancora su La7 – l’unica a ripuntare su di lui – per la Coppa Italia 2007/08. E poi Quelli che il calcio, per un ritorno occasionale in Rai a gennaio e febbraio. Ogni tanto circolava la notizia che fosse morto. Lui, 74 anni da Udine, ne rideva: “Che fortuna, sono morto e non me ne sono neanche accorto”.
La riscoperta di Pizzul dice alcune cose. Anzitutto che gli italiani sono inclini alla madeleine proustiana. Quella voce inconfondibile, e imitatissima, è ricordo collettivo. Memoria condivisa. Garanzia vintage. Ci ricorda quando eravamo giovani, e probabilmente meno cinici (e rincitrulliti). Risentire i suoi “nonnulla”, “laddove”, “tutto molto bello”, “parabola arcuata”, “cincischia”, “bandolo della matassa”, “grappolo di uomini” e “sciaborda” – parola che ha sempre e solo usato Pizzul in tutto il globo terracqueo – è stato come tornare al Vhs dopo un’overdose di Blu-Ray. Ma non è solo questo. Racconta anche di quanto l’Italia sia litigiosa. Per molti che hanno salutato il ritorno con gioia, una minoranza significativa si è lamentata del mancato ricambio generazionale. Aggiungendo che Pizzul “porta sfiga”, come Fabio Caressa – la sua nemesi, più che il suo erede – nel nuoto. Altri hanno evidenziato gli errori, ad esempio il Nagatomo ribattezzato “Nagamoto”.
C’è però un altro motivo. Il piccolo exploit – buono anche lo share: 6.3% – è la dimostrazione che forse c’è ancora spazio per la serietà refrattaria ai ghirigori. Per il giornalista che si mette al servizio dell’evento, e non viceversa. Per la voce che conosce la lingua italiana e all’ostentazione preferisce la sottrazione. Uomo garbato, icona vivissima, conoscitore mai sapientino. Bruno Pizzul è il calcio – o il “pallone” – che torna in taverna. E’ il Bar Sport che non si prende sul serio. Sono le osterie di fuori porta che riaprono. Senza urlatori, secchioni, forzati dell’ugola. Un mondo adulto, cantava Paolo Conte. Dove si sbagliava, e tanto, ma da professionisti. Bentornato.
Il Fatto Quotidiano, 4 agosto 2012