Ho l’impressione che in questo periodo vadan di moda, in Italia, due parole che son state di moda in Unione Sovietica alla fine degli anni 80, perestrojka e glasnost, che sarebbero ricostruzione e trasparenza. Trasparenza mi sembra sia una delle parole d’ordine che si sono dati gli esponenti del Movimento 5 Stelle che stanno provando a governare il comune di Parma, anche se, a dire il vero, non mi sembra siano ancora riusciti a metterla in pratica, la trasparenza, dal momento che il sindaco di Parma fa dei comunicati che finiscono in questo modo qua: “Torno a ripetere infatti che le nostre idee non saranno mai conformi a quella politica di grandiosità effimera e di insostenibilità economica, spacciata per pura sostenibilità, che tanto ha contraddistinto le azioni politiche della passata amministrazione”. Che non ricorda il modo di esprimersi di Gorbacëv, un libro del quale, quando era ancora a capo del Soviet supremo, si intitolava Otkrovenno govorja (Parlare chiaro).
La ricostruzione, invece, è nel sottotitolo della Carta d’intenti del Partito democratico, che si intitola Italia. Bene Comune (Per la ricostruzione e il cambiamento). Adesso, a parte il fatto che prendere a prestito le parole d’ordine di Gorbacëv non sembra di buon auspicio (la perestrojka in Unione Sovietica fu un discreto fallimento e determinò, in un certo senso, la fine della carriera politica di Gorbacëv che quando, nel 1996, si candidò alla presidenza della Federazione Russa prese 386.069 voti, corrispondenti allo 0,51 per cento dei votanti), a parte questo fatto, l’altra espressione scelta dal Pd nel titolo della propria carta d’intenti, Bene comune, è un’espressione che, ultimamente, si sente sempre più spesso: l’acqua, sarebbe un bene comune; la cultura, sarebbe un bene comune; l’università, sarebbe un bene comune; Internet, sarebbe un bene comune; c’è persino un prodotto delle Poste Italiane che si chiama Poste Italiane bene comune (“il prodotto integrato di Poste Italiane dedicato a Comuni, Province, Regioni ed Enti locali per gestire l’intero ciclo commerciale degli incassi, dalla stampa e invio del bollettino postale alla rendicontazione completa del relativo accredito, in modo semplice, veloce e conveniente”).
Cosa significa bene comune?
Però devo dire che per me, bene comune, è un’espressione che non capisco bene cosa voglia dire. Quando, qualche mese fa, ho saputo che alle elezioni comunali di Parma c’era una lista che si chiamava “Parma bene comune”, io, che essendo di Parma, e un po’ la conosco, mi son chiesto in che senso sarebbe un bene. Parma non è un bene, ho pensato. Parma, ho pensato, è un’idea, un accento, un modo di parlare, di imprecare, di gesticolare, è una cantilena, è un dialetto, è un modo di camminare, è un modo di accendersi le sigarette, è un modo di piegare la testa quando si guarda, è la luce che c’è sulla via Emilia a una certa ora del giorno, è l’odore che c’è in Cittadella quando è piovuto, è il suono delle campane della Steccata che son tutte cose che non si possono scrivere dentro un bilancio, beni mobili, beni immobili, ammortamenti. “I rintocchi del campanile / che ha messo radici nel cielo veneziano: / frutti che cadono senza toccare / il suolo. Se esiste un’altra vita / lì qualcuno si occupa della raccolta di queste cose”, scrive Iosif Brodskij, e mi vien da dire che è vero, se esiste un’altra vita, son quelle, le cose da raccogliere, ma in questa vita, mettere a bilancio queste cose è un po’ difficile, secondo me; non sarebbe meglio dire che Parma, per esempio, è di tutti? E allo stesso modo, non sarebbe meglio dire che l’Italia è di tutti? Ma di tutti tutti, anche degli immigrati che son senza documenti, di tutti; che l’Italia è gratis, che l’Italia è del mondo, non sarebbe bello sentirselo dire, non sarebbe un modo di parlare chiaro e di dire qualcosa, in un certo senso, di stupefacente? Solo che l’impressione che si ha a leggere la carta d’intenti del Partito democratico, è che ci sia come un impedimento, al parlare chiaro.
Nella prima pagina di “Italia. Bene comune” (che a uno, tra l’altro, gli viene da chiedersi a cosa serve quel punto lì tra Italia e bene comune), si legge che “L’Italia perderà, se speranza e riscatto non saranno il capitale di un popolo ma scialuppe solo per i furbi e i meno innocenti”.
Ma chi parla così?
Che è un modo di esprimersi, che io quando l’ho letto ho pensato “Ma chi è che parla così?”, e mi è venuta in mente la trasparenza del Movimento5stelle,“Tornoaripetereinfatti che le nostre idee non saranno mai conformi a quella politica di grandiosità effimera e di insostenibilità economica, spacciata per pura sostenibilità, che tanto ha contraddistinto le azioni politiche della passata amministrazione”. Ma chi è parla così? Ma perché i politici parlan così? Ma come si fa, oggi, non dico a credere, ma a leggere, o ad ascoltare, seriamente, delle cose del genere? E, per tornare al documento “Italia. Bene comune”, come si fa a credere a un documento scritto dai dirigenti di un partito che dice che “va approvata una riforma dei partiti che alla riduzione del finanziamento pubblico affianchi una legge di attuazione dell’articolo 49 della Costituzione”? Che bisogna “rimettere il Mezzogiorno al centro dell’agenda”? Che bisogna “combattere sprechi e inefficienze”? Che bisogna “avviare il tempo di una società della formazione lunga e permanente che non abbandoni nessuno lungo la via della crescita”? Non sono tanto le cose, che le cose, i valori, bisogna esser più bravi, siam tutti d’accordo, e, per me, nella mia semplicità, è anche un progetto politico che io ci farei sotto la firma, solo che è il modo, in cui sono dette, le cose, che non ci si crede.
Leggendo il finale di “Italia. Bene comune” (“Siamo convinti di avere cose da dire, e soprattutto molte cose da fare. Per l’Italia, bene comune”) mi è venuto in mente il modo in cui Bersani ha cominciato la sua relazione all’ultimo consiglio nazionale del Partito democratico, che ha iniziato così: “Democratiche, democratici”. Ecco, io mi chiedo, come si fa, dopo un inizio del genere, a dire qualcosa di sensato? E come si fa ad ascoltare qualcuno che inizia il suo discorso non dicendo “Buongiorno”, non dicendo “Benvenuti”, non dicendo “Cari amici”, non dicendo “Compagne e compagni”, non dicendo “Signori e signore”, ma dicendo: “Democratiche, democratici”?
Non si ascolta, secondo me non si ascoltano, le democratiche e i democratici (per non parlare del sindaco di Parma).
Il Fatto Quotidiano, 4 agosto 2012