Cronaca

Ilva, il sistema di pressione della proprietà: “L’ispezione del Ministero va pilotata”

Il quartier generale dell'impianto petrolchimico di Taranto voleva condizionare le valutazioni dei tecnici Arpa, quelle del governo e dei giornalisti. Girolamo Archinà, l’uomo delle pubbliche relazioni della famiglia Riva, si era adoperato per riuscire a farlo, vantando amicizie importanti con politici regionali

Al quartier generale dell’Ilva avevano un’ ossessione: controllare tutto. I tecnici dell’Arpa, l’agenzia regionale per l’ambiente, quelli del ministero, e i giornali. Regista dell’operazione era il dottor Girolamo Archinà, l’uomo delle pubbliche relazioni della famiglia Riva. E’ lui che parlando con un consulente nel 2010, vanta amicizie eccellenti negli uffici della Regione a Bari, e più in alto, al ministero dell’Ambiente. “Corrado Clini (all’epoca direttore generale del ministero) è un uomo nostro”. Ma al lavoro per l’Ilva c’era anche un esercito di legali, consulenti ed esperti.

E’ il 9 giugno del 2010 quando a scendere in campo è l’avvocato Perli, di Milano, in buoni rapporti, a quanto risulta dalle intercettazioni della Guardia di Finanza, con i vertici del ministero dell’Ambiente. In ballo c’è il rilascio dell’autorizzazione Aia, essenziale per il funzionamento dello stabilimento. L’avvocato Perli chiama Fabio Riva, il padre Emilio è agli arresti domiciliari per il disastro ambientale di Taranto, e gli preannuncia un incontro con Luigi Pelaggi, capodipartimento del ministero dell’Ambiente.

L’avvocato informa Riva junior che l’alto funzionario “ha dato disposizione a Ticali di parlare con Assennato”. Il primo è un ingegnere esperto in pavimentazioni stradali nominato dall’allora ministro Stefania Prestigiacomo presidente della Ipcc, la commissione che concede l’Aia. Il secondo è il presidente dell’Arpa Puglia. L’avvocato Perli è raggiante e tranquillizza Fabio Riva: “Non avremo sorprese e comunque la visita della Commissione allo stabilimento va un po’ pilotata”. Un ostacolo al lavoro dell’apparato Ilva, può essere costituito dal direttore dell’Arpa. “Quello si comporta così perché ha ambizioni politiche”. Poveri tarantini che affidavano la loro salute agli organi di controllo. “Il fatto che la commissione Ipcc debba essere pilotata – scrive la Guardia di Finanza di Taranto – e che, comunque, sia stata in un certo qual modo in parte avvicinata”, si rileva anche da altre intercettazioni telefoniche. Quale sia stata la scelta della famiglia Riva di fronte a controlli, articoli di giornali, minacce di referendum degli ambientalisti, lo si capisce da questa intercettazione del luglio 2010.

Girolamo Archinà, l’uomo delle pubbliche relazioni, parla con Ivo Allegrini, ex membro del Cnr e consulente Ilva. Allegrini: “Le amministrazioni pubbliche fanno il loro dovere, pure gli ambientalisti, ma quando si esagera si esagera”. Archinà detta la linea: “Ivo, il discorso è questo, se noi siamo convinti di avere di fronte i tribunali, il Tar, io sono il primo a dire facciamo la guerra a tutto spiano”. E quando i giornali danno fastidio, scrivono, danno voce alla gente di Tamburi stanca di respirare veleni (“fanno da cassa di risonanza” alle inchieste, per il manager Ilva), lui sa come fare. “Bisogna pagare la stampa per tagliargli la lingua. Cioè pagare la stampa per non parlare”. È questa la democrazia a Taranto dell’impero Riva intollerante ai controlli.

Quando l’Arpa calca la mano su una relazione che descrive le quantità di benzoapirene emesso dall’Ilva, Archinà alza il telefono e chiama il professor Giorgio Assennato. Lo rimprovera. Le emissioni sono sopra il limite, “potrà rilevarsi necessaria imporre altre misure di riduzione”, dice Assennato. “Lo so, lo so, ma questo ci crea grossi problemi. Così chiudiamo” . Uomo dalla stazza massiccia, Archinà, quando non poteva comprarseli giornali e giornalisti (ieri l’Ordine della Puglia ha chiesto di acquisire tutti gli atti della procura), gli strappava il microfono. È successo nel 2009, Luigi Abate, cronista di una tv locale, sta tentando di parlare di morti e tumori con il vecchio Riva. “Ve li inventate voi, i morti”, risponde infastidito il patron, a quel punto interviene Archinà, strappa il microfono al giornalista, lo butta via e si piazza come un armadio davanti alle telecamere. Da ieri, l’uomo delle pubbliche relazioni, indagato per corruzione in atti giudiziari, non sarà più la voce dell’Ilva. Licenziato.

“Clini è nostro” è la frase che ha scatenato polemiche feroci. In una durissima nota Clini giudica il deposito dell’intercettazione “una grave violazione della deontologia processuale”. Il ministro “non si è mai occupato della procedura Aia dello stabilimento Ilva, come risulta anche dall’istruttoria pluriennale condotta dal Ministero, né ha mai avuto a tal proposito rapporti con la dirigenza Ilva”. Perché si pubblica una intercettazione “irrilevante ai fini del procedimento, nel momento in cui il Ministro Clini è impegnato a nome del Governo a ricercare soluzioni positive per il risanamento ambientale di Ilva, la continuazione produttiva dello stabilimento e la salvaguardia dell’occupazione?”. Il ministro, “ha segnalato la situazione al Presidente della Repubblica ed al Ministro della Giustizia”. Durezza che non ha impressionato più di tanto la procura. Il procuratore Franco Sebastio, in una nota si è limitato a dire che “in nessuna di tali intercettazioni risulta, direttamente o indirettamente, il nome del ministro Clini”. Polemica chiusa? Forse, perché stando a rumors e indiscrezioni, ci sarebbero altri fascicoli aperti sul “sistema Ilva”. La città aspetta. Mercoledì il Tribunale del Riesame deciderà se confermare gli arresti di Riva padre e figlio e il sequestro degli impianti.

da Il Fatto Quotidiano del 5 agosto 2012