L'oncologo sulla ricerca pubblicata da Nature:"Bisogna sempre essere prudenti e allo stesso tempo realisti, evitando i trionfalismi. Anche perché si rischia di diffondere notizie che possono provocare molta confusione in pazienti affetti da tumore che stanno effettuando cure"
La chemioterapia usata da decenni per combattere il cancro, in alcune circostanze può stimolare, nelle cellule sane circostanti, la secrezione di una proteina che sostiene la crescita e rende ‘immune’ il tumore a ulteriori trattamenti. La scoperta, “del tutto inattesa”, è stata pubblicata sulla rivista Nature ed è frutto di uno studio statunitense sulle cellule del cancro alla prostata. La ricerca voleva accertare come mai queste ultime siano così difficili da eliminare nel corpo umano mentre sono estremamente facili da uccidere in laboratorio.
Il professore Umberto Tirelli, direttore del dipartimento di Oncologia medica del Centro di Riferimento Oncologico di Aviano (Pordenone), considera lo studio molto interessante ma ne evidenzia un limite. Tratta solo il tumore alla prostata che è una patologia molto particolare: “Avrebbe avuto molto più senso se fosse stato abbinato ai tumori guaribili con la chemioterapia, come alcune leucemie acute”.
Professore, siamo davanti a una scoperta rivoluzionaria?
In realtà la ricerca si è occupata dei tumori della prostata che sono tipicamente chemioresistenti – tant’è vero che spesso ci si affida ad altri trattamenti, come l’ormonoterapia. Nel tumore alla prostata la chemio si fa solo in seconda o terza battuta, dopo aver provato altre terapie.
E gli altri tumori?
Esistono molti tumori in grado di guarire con la chemioterapia anche quando sono in fase disseminata – ad esempio il tumore del testicolo, alcuni linfomi, alcune leucemie acute. L’esempio classico che si fa in questi casi è Lance Armstrong, il ciclista sette volte vincitore al Tour de France, guarito da un tumore al testicolo con metastasi, grazie a un trattamento chemioterapico.
Come va inquadrato allora questo studio?
Si tratta indubbiamente di uno studio interessante, ma le conclusioni non si possono generalizzare. Avrebbe avuto molto più senso se fosse stato effettuato anche per quei tumori per i quali la chemioterapia è molto efficace. Il tumore della prostata è molto lento. Quando si arriva alla chemioterapia è già diventato resistente ai farmaci. Nei tumori più veloci ci sono meno possibilità che si sviluppino fenomeni di resistenza spontanea perché c’è meno tempo. Inoltre questi discorsi spesso sono a favore dei trattamenti biologici intelligenti (come gli anticorpi monoclonali da abbinare alla chemioterapia di cui si parla nello studio). Oggi in clinica siamo pieni di farmaci biologici che hanno un impatto minimo o nullo, ma costano troppo.
Quindi l’effetto della chemioterapia dipende dal tipo di tumore da cui si è affetti.
Esatto. Parliamo di centinaia e centinaia di malattie completamente diverse da loro. Il tumore della prostata è completamente diverso da quello del colon e da quello della vescica, sia per le cause che li determinano, sia per gli approcci chirurgici, radioterapici che richiedono. Spesso si fanno trattamenti chemioterapici adiuvanti (aggiuntivi, preventivi) perché il tumore non si manifesti a distanza o quando ci sono delle metastasi, ma dipende sempre dal tipo di tumore con cui si ha a che fare. Su alcuni è efficace, su altri funziona meno, ma hanno comunque lo scopo di combinarsi con altri trattamenti (radioterapia, farmaci biologici – questi ultimi in alcuni casi hanno la loro efficacia anche se costano troppo per quello che rendono).
Cosa differenzia i trattamenti biologici dalla chemioterapia?
I trattamenti biologici, a differenza della chemio, andrebbero a colpire i meccanismi di replicazione della cellula tumorale, sarebbero appunto intelligenti, non colpendo le cellule sane, anche se spesso hanno effetti collaterali non indifferenti. Il problema è che i tumori non sono fatti da cellule dello stesso tipo – spesso ci sono 3, 4, 5 popolazioni diverse del tumore che rispondono in maniera diversa ai vari farmaci che si impiegano. Il farmaco biologico ad esempio colpisce la cellula iniziale (primitiva) del tumore, ma non la cellula metastatica che nel frattempo si è differenziata.
In conclusione?
Mi sento di dire che nel contesto di risultati purtroppo ancora insufficienti nel trattamento dei tumori in particolare metastatici, la chemioterapia rimane comunque in alcuni di essi – purtroppo non la maggioranza – l’unica arma in grado di guarire alcune di queste malattie. C’è ancora molto da fare e speriamo che al più presto si arrivi a risultati migliori di quelli attuali. nel frattempo oltre a pensare alle terapie è necessario concentrarci di più nella prevenzione (stile di vita, inquinamento, ecc.) e diagnosi precoce (troppo pochi ancora seguono gli screening ad esempio dei tumori del colon retto). Bisogna sempre essere prudenti e allo stesso tempo realisti, evitando i trionfalismi. Anche perché si rischia di diffondere notizie che possono provocare molta confusione in pazienti affetti da tumore che stanno effettuando cure.