Accade che si rifiuti la pubblicazione del necrologio per due vittime di mafia e se ne pubblichino ben tre alla memoria di uno dei più potenti boss di Cosa Nostra. Accade a Catania e accade sul foglio di Mario Ciancio Sanfilippo.
Il 29 luglio si è spento, ucciso da un male incurabile, Giuseppe Ercolano. L’uomo aveva 76 anni ed era il patriarca di una delle più potenti “famiglie” mafiose siciliane: gli Ercolano-Santapola. Cognato di Nitto Santapaola, il capo storico della mafia etnea, Pippo Ercolano è anche il padre di Aldo, che attualmente sconta l’ergastolo per l’omicidio del giornalista Giuseppe Fava.
U’ zu Pippu, lo chiamavano così – con doveroso omaggio i suoi accoliti – è stato condannato per mafia ed è stato a lungo il rappresentate provinciale di Cosa nostra, insomma il capo della mafia etnea in assenza del cognato ristretto nelle patrie galere.
Vasti interessi economici, soprattutto nel mondo dell’autotrasporto. Una passione quella per i camion che ha ereditato il nipote Angelo, un giovanotto assolutamente incensurato, che oggi guida la sezione catanese della Federazione Autotrasportatori Italiani e ne è vice presidente regionale senza che nessuno abbia niente a che dire. Ma anche il figlio Enzo non disdegna i camion, al punto da essere presente ai presidi del movimento dei forconi che paralizzavano la Sicilia.
L’episodio più noto che vede protagonista Pippo Ercolano però si svolge nello studio del potente editore Mario Ciancio. Alcuni anni fa il boss vi fece irruzione lamentandosi di un articolo scritto da un cronista alle prime armi, che lo aveva definito un boss. Ciancio fece chiamare il giovanotto nel suo studio e alla presenza del boss gli fece una sonora lavata di capo, intimandogli di non permettersi mai più di usare quel termine riferito al “signor Ercolano”. Il giovanotto, che oggi lavora ancora per Ciancio ed è consigliere dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia, imparò la lezione al punto da farsi venire un solenne attacco di amnesia, quando i giudici gli chiesero conto dell’episodio.
Insomma questo è il defunto, ai cui solenni funerali sono intervenute alcune centinaia di catanesi, accolti nella “Tenda di Ulisse“, messa gentilmente a disposizione dal Clero etneo.
Il 30 luglio scorso, La Sicilia, il quotidiano di Ciancio, a pagina 28 da la notizia di cotanta perdita per la città con un sobrio articolo senza firma. Un vero coccodrillo, come si usa fare per un notabile, per un professore universitario, per un imprenditore, per un prelato o per un politico. Il racconto delle sue gesta è completo, ma esse vengono riferite asetticamente, come se si trattasse di normali attività.
Ma non è tutto. A pagina 43, lo stesso quotidiano dà spazio a tre necrologi che ricordano la memoria del caro estinto. In uno, manco a dirlo, c’è la firma del figlio ergastolano.
Un trattamento ben diverso rispetto a quello che il giornale di Ciancio ha riservato al commissario Beppe Montana, ammazzato da cosa nostra a Palermo e a Giuseppe Fava, ucciso proprio dagli Ercolano-Santapaola. In entrambi i casi, quando i parenti delle due vittime di mafia si presentarono con i testi dei necrologi, il giornale di Ciancio rifiutò la pubblicazione.
Due episodi, quelli di Montana e Fava, finiti nel fascicolo che ha visto Ciancio indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Un’indagine per la quale la Procura ha recentemente chiesto l’archiviazione. Una richiesta che però non chiude ancora del tutto la vicenda. L’ultima parola spetta al Gip, Luigi Barone. Un nome che non fa dormire sonni tranquilli al potente Tycoon catanese. Barone è infatti lo stesso magistrato che ha respinto la richiesta della Procura di archiviare l’accusa concorso esterno in associazione mafiosa per il Presidente della Regione Lombardo ed ha imposto alla Procura di formulare l’imputazione coatta.