Abbiamo paura, ma di che cosa? La ragione è incerta ma il sentimento è grande. Diventa un pensiero fisso: “Meglio di no”. Meglio non fare, non dire. La paura è sospensione. E qui si formano strane e contraddittorie risposte dei cittadini spaventati: verso il governo, verso il “mercato” (nome convenzionale per entità ignota), verso ciò che un tempo (fino a pochissimi giorni fa) avremmo chiamato “la politica” e adesso è soprattutto lo sfogo di un nervosismo insopportabile. Meglio trovare un nemico. Il governo, che nel pieno dell’incertezza vuole dettarti il comportamento in ogni dettaglio, ti sembra (ingiustamente) un molestatore. Vorresti restare immobile e defilato finchè passa la paura.
É acnhe vero che sfugge continuamente il nesso fra il male (ovvero ciò che provoca la paura) e il rimedio. Ma loro insistono nel chiederti di fare, di rinunciare, di pagare, di rischiare, proprio mentre vorresti restare non notato, fuori da questa scena che non capisci e che non ti piace. Ti mandano a casa se sei al lavoro, ti trattengono all’improvviso per periodi più lunghi se vuoi lasciare. Altri non restano nè fuori nè dentro, oppure gli cambiano le regole di quel che stavano facendo mentre lo stavano facendo. Insistono nel chiederti di più mentre hai di meno e in cambio ti annunciano che ti toglieranno ciò che credevi sicuro (scuola, salute, interi pezzi di welfare).
Lo sai che non sono cattivi, ma la ragione di tutto quello che accade ti sfugge e nessuno la spiega. Piove una strana pioggia di eventi che non capisci e che di volta in volta hanno un nome diverso. Uno è “il cambiamento, finalmente“, uno è la richiesta urgente di un pedaggio, l’imposizione di un altro obolo, cui segue un altro cambiamento che però è di nuovo un aggiustamento in meno o il ritiro di un’altra offerta che prima ti era stata data come “perenne”. A volte le chiamano riforme, a volte misure, a volte manovre, a volte prescrizioni obbligatorie di una creatura lontana e dai lineamenti che conosciamo poco, una immagine sfuocata e malevola chiamata Europa. Ci sono due discorsi (o ammonizioni) che ti fanno in continuazione. Uno è un rimprovero. A quanto pare prima ti eri sbagliato, e adesso tocca a tutti noi rimediare (benché tanti di noi siano convinti di non avere avuto alcun ruolo). L’altro è la certificazione che, chiudendo qui e abolendo là, stiamo camminando, sia pure a fatica, verso un Paese moderno.
Però tu hai la maledetta impressione di andare indietro, addirittura nel passato, circondato da un clima di una rispettosa regola di condotta ospedaliera, che ordina con buona grazia però non transige e non sente ragione. Mentre dura questo strano rapporto tra cittadini e governo (che ha un sostegno fedele e muto, mentre tutti coloro che parlano, da Di Pietro a Giavazzi, o condannano con un urlo o pacatamente presentano una ricetta diversa) si svolge lo strano film che potremmo intitolare “Noi e il Mercato“. “Noi” siamo quelli appiattiti contro la parete, che sperano di non essere notati e presi di mira dalla furia delle tempeste che si susseguono. Vuol dire (pensiero certamente elementare ma comprensibilmente diffuso): “mangiatevi tutto, bruciate i vostri miliardi quotidiani nelle famose mattinate” a picco “, riprendeteveli quando, per ragioni incomprensibili a quasi tutti, “la borsa vola”. Ma non toccate i miei risparmi, non la mia busta paga o la mia pensione. Io non ho mai voluto entrare nel gioco” .
Il mercato è una strana bestia che un giorno (o una settimana) si infuria fino a far perdere tutto (o almeno questa è l’impressione dei disperati spettatori) e un giorno o una settimana sorride placido e restituisce alle spiagge competenti (non ai cittadini che continuano a vivere nel terrore del prossimo annuncio) una parte della ricchezza rubata o anche di più. E così i veri narratori della guerra in corso, i nuovi Hemingway, sono diventati coloro che narrano la Borsa, e non disdegnano di aggiungere un pò di fiction perchè altrimenti le cose non si spiegano. Tipo: “I mercati oggi sono nervosi dopo l’accenno di…. La frase, giunta di prima mattina, ha subito frenato gli investitori…La riunione ha fatto capire che le risorse ci sono, facendo partire d’impeto un’ondata di ottimismo che continua in tutte le borse… “.
Ovvero, come accade nella fiction, l’evento inatteso cambia la storia. Di questo spettacolo, che produce immense ondate di ansia, siamo spettatori passivi e forse è meglio ammettere che questo ruolo tocca anche alla politica, che ascolta, esegue (salvo qualche scena drammatica che non cambia nulla) e poi finge di avere approvato “riforme” e “misure” a cui non ha messo mano. Per uscirne ci vuole un nemico. A questo serve la Germania, che ha il fisico per il ruolo e la dovuta, cinematografica mancanza di cautela nel linguaggio. La Germania va bene come nemico, anche perchè è impossibile attribuire quel ruolo a Olanda o Finlandia. E la Germania sta al gioco con ricorrenti interventi, anche inutili e non richiesti. Soprattutto interventi subito prima o subito dopo incontri di tecnici in cui le parti hanno modo di dirsi tutto senza gettare i cittadini europei (e soprattutto di un Sud Europa già definito con sprezzo indimenticabile nel “I Buddenbrook” di Thomas Mann) in un mare di ansia.
Dunque paura. Purtroppo non ci serve la celebre frase rooseveltiana (“la sola cosa che dobbiamo temere è la paura”). Mancano Roosevelt e il New Deal. Al momento.
Il Fatto Quotidiano, 5 Agosto 2012