Carolina Adamo è partita dalla Campania con un volo di sola andata per fare la ricercatrice negli Stati Uniti. Doveva rimanere un anno, ma ne sono passati sei e oggi, spiega, "per soli 1.200 euro al mese non tornerei mai". Sulla bilancia, però, pesano i paradossi degli Usa, dalla sanità alla difficoltà nelle relazioni umane
Adesso il suo nome sta per finire sulla copertina di riviste scientifiche prestigiose come Science e Natural Materials per una scoperta che velocizzerà i computer del futuro. Inoltre ha ricevuto quattro offerte di lavoro, ‘accontentandosi’ di scegliere la posizione da ricercatrice a Stanford con uno stipendio quattro volte superiore ai coetanei italiani e lavorerà “a contatto con i premi Nobel”. Ma quando è arrivata in America, con un volo di sola andata da Salerno, Carolina Adamo in inglese sapeva dire solo “hello”. Da allora sono trascorsi sei anni e negli Stati Uniti ci è arrivata – come il secolo prima tanti conterranei con la valigia di cartone per lavorare – perchè il suo professore le ha detto: “Qui in Italia la ricerca non si può fare bene”. Avrebbe dovuto passarci un anno solo, ne sono trascorsi sei e di tornare ormai non ci pensa più. Ma guai a dirle che a 35 anni con la sua laurea in fisica è un cervello in fuga, perchè le sale dalla gola una grossa risata, mostrando tutta la sua veracità.
“Mi manca tanto l’Italia, la famiglia, il cibo. E’ una terra bellissima ma non mi piacciono i suoi sprechi e la mancanza di investimenti sul futuro: per un assegno di ricerca da 1.200 euro non tornerei mai per fare come i miei ex compagni. Qui – spiega al fattoquotidiano.it – le capacità vengono valorizzate”. Infatti, prosegue, “se una persona vale riceve parecchie offerte e se un datore di lavoro vuole proprio te è disposto a offrirti sempre di più per farti accettare. In Italia sarebbe impossibile”. Per una persona che non ha mai studiato inglese e che quando è arrivata in laboratorio non aveva modo di comunicare con gli altri studenti (“Ci scrivevamo sui foglietti all’inizio”, racconta), l’America è davvero la terra delle mille possibilità. “Ho studiato da sola, poi ho iniziato a lavorare sui miei progetti come quello per migliorare le memory disk nei computer per farli diventare più veloci, combinando materiali multiferromagnetici per non scaldare il pc”. In sostanza, puntualizza entrando nel tecnico, “significa usare un campo elettrico e quindi un voltaggio per scrivere i dati sul computer, senza perdere nulla anche spegnendolo e senza disperdere energia”.
Oggi si trova alla Cornell University, ma dall’autunno sarà a Stanford. Si è potuta permettere il lusso di rifiutare un’offerta a sei cifre da Ibm per un posto non fisso in cui però può proseguire le sue sperimentazioni. “Sto lavorando anche alla creazione di un materiale che possa creare idrogeno attraverso l’energia solare”, ha continuato. Anche l’organizzazione del lavoro di ricercatore in Usa è completamente diversa. “Per creare il tuo laboratorio ti danno un budget di un milione di euro. Ditelo in Italia e non ci crede nessuno”, precisa. Nel Belpaese, pur di studiare, Carolina ha fatto di tutto, incluso lavorare anche nelle aziende di pomodori d’estate per pagarsi l’università dopo la malattia del padre. Oggi gli studenti italiani in America sono sempre più numerosi e sono disposti a sopportare anche gli aspetti più spigolosi degli Stati Uniti. “Come i paradossi della sanità per i quali se esci dallo Stato in cui lavori e ti fai suturare una ferita ti chiedono 1.500 dollari. In più chi non ha l’assicurazione non viene curato e negli Usa hai solo due settimane di ferie all’anno compresa la malattia”, continua Carolina. E poi c’è da mettere in conto “il cibo che non è il nostro, le relazioni umane difficili, il fatto che si lavora sempre, anche il weekend” e che la madre deve inviarle il paracetamolo dall’Italia perché lì non lo prescrivono. In ogni caso, conclude, “finchè le cose non cambiano non tornerei mai a casa”.