Alcuni lettori credono che ce l’abbia con Monti o Draghi, o i liberisti. Non è così. Ce l’ho con le politiche che alimentano la disoccupazione, con le ideologie di ogni segno, con le manipolazioni della realtà, con l’ipocrisia. La propaganda filogovernativa attribuisce gli errori di Draghi sempre e comunque alla Germania. Ma quando uno dice e ripete delle cose e poi le fa, per me non ha senso immaginare che le fa solo perché costretto. L’astuzia politica e la prudenza vanno bene, ma alla fine a me sembra che la suprema astuzia sia il candore francescano di dire semplicemente la verità. E la “verità” ufficiale che Draghi ci ha offerto per mesi non regge più.
Comunque è vero, c’è anche una partita in corso fra i liberisti “in via di moderazione”, come Monti e Draghi, e la Germania. E Draghi la sta giocando con una certa abilità e molta cautela. Una piccola chicca storica può aiutare a capire meglio la posizione tedesca.
Negli anni “20 la Francia svalutò fortemente il Franco. Quando nel 1929 la crisi rese la competitività un fattore economico decisivo, la Francia, in surplus commerciale, fu l’unico paese a mantenersi in buona salute (v. grafico).
I francesi reagirono alla loro buona sorte impartendo lezioni agli altri paesi intrappolati nella “moneta unica” dell’epoca (gold standard) a livelli di cambio più alti. Il Primo Ministro Tardieu dichiarò: “la Francia merita l’ammirazione di tutti” per la sua “struttura economica armoniosa… la parsimonia tipica dei francesi, la capacità di adattamento, la modernità, il coraggio…”. La Francia si definiva “L’Ile hereuse” – isola felice -; il bilancio pubblico era in attivo senza bisogno di austerità.
I capitali affluivano, provocando un drammatico credit crunch nel resto d’Europa. Quando però gli altri paesi abbandonarono il gold standard, la musica per la Francia cambiò. Ogni riferimento alla svalutazione interna tedesca del 2000-2008, ai suoi enormi surplus commerciali, al mancato rispetto dell’impegno di ridurli, e alle lezioni che vengono da oltre Reno, non è casuale.