Il carpigiano Leonardo Tondelli raccoglie i post del suo blog dove racconta la paura del 29 maggio e le assurdità della ricostruzione: "Qui c'è chi si è dato da fare e chi no, come in altre città. Semmai ci ricordiamo tutti il sisma del '96 a Carpi quando gli studenti finirono nei container. 20 anni dopo è la stessa situazione: non ci sono scuse"
“La scossa” racconta l’Emilia messa in ginocchio dal terremoto e la decostruisce mettendone in evidenza tutte le contraddizioni e le idiosincrasie. Un’operazione che fa a pezzi anche il mito dell’emilianità. “Sopravvive addirittura in molti extraemiliani il mito dell’Emilia rossa, almeno finché non vengono qui e si accorgono che essere rossi in Emilia significa difendere con sobrietà e moderazione l’ordine costituito, far chiudere i locali alle due, sgomberare i centri sociali quando rompono, fare gli interessi di certe cooperative e non di altre, di certe corporazioni e non di altre”. La conclusione dell’autore, che nella vita fa l’insegnante di italiano in una scuola media, è che il tanto decantato modello emiliano, quello degli operai e contadini che si rimboccano le maniche e ricostruiscono, non esiste se non nella mente di alcuni giornalisti. “E’ un pregiudizio per fortuna positivo, ma pronto ad essere ribaltato quando e se le zone terremotate non ce la faranno a risollevarsi. La verità è che c’è chi si è dato da fare e chi no, come succede ovunque. Dopo tutto – continua l’autore – fino a pochi decenni fa gli abitanti del Polesine e dintorni erano chiamati terroni del nord. Guardate cosa è successo all’Aquila: prima tutti a lodare una popolazione pronta a rialzarsi, adesso molti iniziano a parlare di terremotati che non vogliono ricostruire e se ne stanno con le mani in mano”.
Tra le pagine di “La scossa” anche episodi divertenti, ma non mancano le accuse. Prima di tutto contro chi non ha fatto nulla per mettere a norma scuole e capannoni. “A Carpi il terremoto del 1996 ce lo ricordiamo bene tutti. Allora alunni e professori si trasferirono nei container. A settembre, quasi 20 anni dopo, ci troviamo nella stessa situazione. Non ci sono scuse”. A simboleggiare molti degli errori legati al sisma quello che per Leonardo è sia il simbolo del terremoto sia del supposto modello emiliano, ora in crisi: il capannone. “In Emilia ne sono stati fatti tanti, sempre più semplici, sempre più in fretta, finché anche l’idea di saldare le travi al tetto deve esser parsa un eccesso di prudenza”. Un’edificazione continua e incessante che ha riempito la pianura “crollasse il mondo – finché a un certo punto è crollato”.
Meglio allora una sana dose di umiltà, perché il tanto decantato modello emiliano potrebbe essere crollato col terremoto, nonostante Ferrari e Parmigiano. “Non abbiamo inventato la Ferrari, l’ha inventata un ingegnere che adesso è morto, e il suo successore ha speso molto per restare competitivo, ma non ci sta riuscendo. Non abbiamo inventato il Parmigiano, è una ricetta che abbiamo ereditato dai nonni, noi non abbiamo aggiunto niente, non abbiamo nemmeno pensato a luoghi di stagionatura antisismici, finché non è arrivato il botto e ci è cascato il mondo per terra. Noi probabilmente abbiamo qualche dote nascosta, però col passare del tempo si nasconde sempre di più”.