Società

Compostela, cammino di morte

Due anni fa un ragazzo è affogato in mare, poche righe frettolose, ma da due anni nessuno spiega perché. E per non turbare un turismo speciale: i morti si moltiplicano lungo il cammino di Santiago de Compostela. Sentieri con trappole non segnalate nella traversata dei Pirenei. E la spiaggia fatale di Finisterre, pellegrinaggio che arriva all’oceano.

Un blog col nome del ragazzo ne ricorda il dramma: Giulio Recusani. Giovanna e Angelo Recusani stanno per pubblicare i documenti del figlio perduto, aveva 25 anni. Vogliono mettere in guardia pellegrini inconsapevoli in marcia dove i pericoli vengono nascosti per non sgonfiare gli affari. Giulio era partito dopo il suicidio di un amico, uno dei 1500 viandanti in cammino solitario nella speranza di sciogliere l’angoscia non risolta. Duecentomila all’anno: religiosi, laici, folle esoteriche ipnotizzate da Paulo Coelho. Le strade della devozione scavalcano i Pirenei, si allargano in Spagna. L’invenzione della tomba di San Giacomo, morto in Palestina appena dopo Cristo, è di un vescovo medievale che ne “scopre” la tomba in Galizia; invenzione rinforzata dal sogno di un condottiero alla vigilia della battaglia contro l’emiro della dominazione araba. Gli appare san Giacomo. Promette di combattere al suo fianco. Nasce la leggenda di Santiago Matamoros, spada che taglia la testa agli infedeli. Statue e dipinti dell’orrore.

L’Europa dei nostri giorni comincia così e ancora ne sparge i veleni. Secoli di pellegrini anche se le folle riscoprono la leggenda negli anni 80. Associazioni che promuovono il viaggio, ostelli affidati al volontariato. Notti che costano niente, 5 o 7 euro, ma si pagano cibo e bevande, insomma affare più consistente di quanto è possibile immaginare. E i ristoranti smaniano per far passare il Cammino davanti alle loro vetrine. Mappe ritoccate dagli aggiornamenti commerciali di un turismo religioso a volte senza religione. Nel diario, Giulio confessa la delusione: 900 chilometri per raggiungere il luogo che immaginava di riconciliazione. Si rifugia a Finisterre, fine del mondo dei primi devoti. Spiaggia dorata, 10 minuti dal porto. Tanti cartelli con l’ombrellone invitano a tuffarsi. Un solo avvertimento – solo uno – timidamente contraddice: mare che può essere pericoloso.

I ragazzi dall’amicizia cresciuta nel camminare si bagnano nell’oceano liscio come un lago. All’improvviso le correnti trascinano al largo. Riescono a salvarsi, Giulio non ce la fa. Gli raccomandano di non affaticarsi: telefonano l’allarme, questione di minuti. Giulio galleggia con gli amici che incoraggiano: galleggia per quasi un’ora, nessuno arriva. Sparisce. Comincia la difesa di una disattenzione che continua a far vittime: crimini per tragedie ignorate. Non si avvisano i pescatori attorno e la barca di un istruttore sub. L’elicottero si alza un’ora dopo.

Perché? Perché chi poteva accorrere era fuori contratto e nessuno voleva la responsabilità della spesa. Da due anni nascondono i documenti. I tribunali spagnoli continuano a non pretenderli malgrado le interpellanze al Parlamento galiziano. La sola a indignarsi è Carmen Pugliese, storica milanese, in Spagna col sacco in spalla 20 anni fa. Non se ne è più andata. Dirige la “Revista Peregrina” nella quale interpreta il fascino e la fatica del viaggio delle meditazioni. Lo spiega nella introduzione al libro “Viaje a Santiago de Compostela”, diario del carmelitano Giovanni Antonio Naia che camminava nel ‘700. Quando Giulio annega scrive un editoriale di dolore e rabbia: “il Cammino si sta punteggiando di croci che dovrebbero insegnarci qualcosa”. Insomma, l’onestà del proteggere la vita degli altri e non pensare solo ai guadagni. “Mettiamo insegne con teschi, se necessario”. Carmen torna alla spiaggia degli affogati. Nuovi cartelli invitano a fare il bagno. Nessun allarme. Chi sta partendo adesso lo sa.

Il Fatto Quotidiano, 7 Agosto 2012