Sono oltre 100 gli atleti positivi dai Giochi del 1968. A Roma, nel 1960, il primo morto: avvenne durante una gara di ciclismo, quando il danese Enemark cadde dalla bici e non si rialzo più perché aveva assunto anfetamina. Poi il trionfo allo sprinter canadese cancellato dagli steroidi con l'oro assegnato al rivale di sempre Carl Lewis
Gli atleti dell’antica Grecia pare mangiassero carne di lucertola preparata in modo “speciale” poco prima delle gare, per migliorare le prestazioni. Doping ante litteram? Purtroppo, o per fortuna, non ci è arrivata la ricetta. Che allora, comunque, non poteva essere chimica come quelle usate nelle Olimpiadi moderne. L’utilizzo dei “performance enhancing drugs” (Peds) inizia nel 1904, ma allora non c’era nulla di proibito. Il primo atleta scoperto a ingurgitare “veleni” fu Thomas Hicks, il vincitore della maratona 1904: stricnina più sorsate di brandy, anche durante la marcia.
Nel 1967, il Cio proibì l’uso di farmaci. Durante i Giochi di Roma del 1960 ci fu la prima morte per doping. Avvenne durante una gara di ciclismo su strada: il danese Knud Jensen Enemark cadde dalla bicicletta e morì. Dall’autopsia emerse che l’atleta era sotto anfetamina. Dopo l’introduzione del divieto, il primo sportivo risultato positivo fu Hans-Gunnar Liljenwall, un pentatleta svedese nelle Olimpiadi del 1968: perse la medaglia di bronzo. Tra il 1970 e il 1980, i più aficionados dei farmaci dopanti furono i tedeschi orientali: impossibile dimenticare le nuotatrici-virago costrette ad assumere ormoni maschili. Dopo la riunificazione alcune di loro raccontarono a quali mostruosità erano state sottoposte dagli allenatori, a loro insaputa: per molte fu impossibile continuare una vita normale.
L’episodio di doping passato alla storia però è quello dello sprinter canadese Ben Johnson, che vinse la medaglia d’oro nei 100 metri a Seoul 1988. La sua incredibile performance però era dovuta anche all’assunzione di stanozolol. L’oro pertanto gli venne sfilato e andò al figlio del vento Carl Lewis, sul quale per altro non sono stati mai messi a tacere i sospetti sulla gara ai trials americani proprio prima di Seoul.
L’ altro caso di doping rimasto negli annali delle Olimpiadi fu quello della statunitense Marion Jones che vinse 5 medaglie d’oro e due di bronzo nel 2000 alle olimpiadi di Sydney. Solo nel 2006 risultò positiva ai test per l’eritropoietina, un ormone che, se assunto, contribuisce ad aumentare il trasporto di ossigeno ai tessuti.
Nel 2007 la Jones ammise di aver fatto uso di doping nel 1999 e dovette restituire le medaglie vinte durante Sydney 2000. Tutti gli atleti bulgari che parteciparono alle olimpiadi di Seoul 1988 e di Sidney 2000 nel sollevamento pesi e nella lotta, risultarono positivi al furosemide. E sono più di cento gli atleti che dal 1968 sono risultati positivi durante i Giochi olimpici. Due gli italiani finora positivi: a Los Angeles nel 1984, l’atleta Paolo Urlando e a Pechino il ciclista Davide Rebellin (argento restituito). E ora il terzo, che a Londra, però, non ha neppure messo piede per passeggiare.
Da Il Fatto Quotidiano del 7 agosto 2012