Barrie Wells. Un nome che in Italia dice poco, ma che nel Regno Unito è sulle pagine di tutti i giornali negli ultimi giorni. Perché se la Gran Bretagna si sta facendo onore ai Giochi di Londra (è ormai a quota 20 ori, terza nel medagliere alle spalle soltanto delle superpotenze Cina e Usa) è anche merito suo. E dei tanti, tantissimi pounds da lui spesi per lo sport britannico. Mister Wells è uno dei grandi ricconi d’Inghilterra: originario della provincia di Liverpool, dove è nato e cresciuto, è un classico esempio di self-made-man con il suo patrimonio di svariate decine di milioni, raggranellato come imprenditore di servizi finanziari. Poi, nel 2009, ha deciso di diventare anche filantropo.
L’ispirazione gli è venuta guardando in televisione i Giochi di Pechino 2008, seguendo la passione per l’atletica per cui ha sempre avuto una certa inclinazione familiare: un suo bisnonno (tal Ernest Latimer Stones) fu detentore del record del mondo di salto con l’asta alla fine dell’Ottocento; e anche lui da giovane si era cimentato con discreti risultati nei 400 metri. Poi la sua vita ha preso un’altra strada: fatta di numeri, transazioni, affari. Ma lo sport gli è rimasto nel cuore.
E così è nata l’idea: investire una (piccola ma significativa) parte della sua fortuna per finanziare privatamente alcuni dei più promettenti atleti britannici in vista delle Olimpiadi di casa. “Negli ultimi anni mi sono ritrovato con un mucchio di soldi in più in mano”, racconta Wells. “Quando non ci sarò più voglio lasciare una bella somma alla mia famiglia, certo. Ma anche poter dire di aver fatto qualcosa di buono con il mio denaro”. All’inizio aveva tentato la strada della beneficienza. Ma per uno come lui – abituato a fare degli investimenti e a godersi i risultati, in ogni campo – c’era troppa poca soddisfazione a staccare assegni anche a cinque zeri senza poter verificarne le conseguenze. “Volevo vedere dove andavano a finire tutti questi soldi”, spiega.
La Barrie Wells Fundation è stata la soluzione ideale per combinare il desiderio di filantropia col suo animo d’affarista. La prima ad essere stata reclutata è quella che poi è diventata la stella della fondazione: Jessica Ennis, grande talento dell’eptathlon a livello giovanile, che però aveva saltato i Giochi di Pechino per un grave infortunio. Poi, però, sono arrivati il titolo europeo e quello mondiale. E adesso, finalmente, l’oro olimpico.
Insieme a lei ci sono altri talenti dello sport britannico. Non troppi, circa una ventina: perché Wells li sceglie personalmente, e vuole avere la possibilità di seguire da vicino i loro progressi. C’è Beth Tweddle, vincitrice del bronzo alle parallele; o Dai Greene, capitano della squadra di atletica del Regno Unito; e ancora le giovani Hannah Miley e Lizzie Simmonds, rispettivamente 22 e 21 anni, quinta e quarta classificata nelle finali dei 100 e 200 delfino.
Il progetto è ambizioso ma anche costoso: vale all’incirca mezzo milione di sterline l’anno, per un totale di almeno due milioni di pounds (oltre due milioni e mezzo, al cambio con l’euro). Al saltatore Bleasdale, Wells ha acquistato aste di ultima generazione; per l’ottocentista Meadows ha ingaggiato uno dei migliori allenatori in circolazione (con un contratto a tempo pieno); all’eptatleta Prentice ha pagato addirittura uno psicologo, per aiutarla a crescere in questi suoi primi anni di carriera (la ragazza ha appena fatto 20 anni). Senza mai badare a spese. E i risultati oggi gli danno ragione.
Beth Tweddle ha conquistato una storico bronzo nella ginnastica. Jessica Ennis, campionessa olimpica nell’eptathlon, è la nuova eroina d’Inghilterra, celebrata da una folla festante di oltre 50mila persone in Hyde Park dopo il suo trionfo. Ma il padre putativo di queste due medaglie è Barrie Wells: ieri mago della finanza, oggi mecenate dello sport britannico. La Ennis è il simbolo del suo successo. E di quanto può il denaro, anche nello sport. Chi investe nei talenti raccoglie campioni e medaglie. Gli altri vivono di estemporaneità. E l’Italia ne sa qualcosa.