Il professore al Wall Street Journal: "Valori ancora alti perché il nostro debito è oggettivamente molto alto e i mercati hanno iniziato a realizzare drammaticamente che il governo dell'Eurozona è debole. In Francia molte meno riforme di noi"
”Se il precedente governo fosse ancora in carica, ora lo spread italiano sarebbe a 1.200 o qualcosa di simile”. La polemica sull’intervista a Der Spiegel è ancora calda, ma Mario Monti invece che di quello tedesco dovrà occuparsi del fronte interno. Il Wall Street Journal ha infatti deciso di pubblicare proprio oggi un’altra intervista del premier destinata a sollevare un polverone. Per quanto i pompieri di Palazzo Chigi siano subito corsi ai ripari, precisando che non c’è alcuna intenzione polemica nei confronti del passato esecutivo e che la stima di uno spread a 1.200 viene da una proiezione degli effetti della speculazione sul nostro Paese se non si fossero dati segni di discontinuità con il passato, il giudizio espresso da Monti sul suo predecessore, per di più alla testata economica del gruppo Murdoch, sembra infatti inequivocabile. Quanto al proprio operato e al giudizio dei mercati, per Monti “gli spread sono ancora alti perche’ il nostro debito e’ oggettivamente molto alto e i mercati hanno iniziato a realizzare drammaticamente che il governo dell’eurozona e’ debole. La Francia ha fatto molte meno riforme che noi abbiamo fatto e tuttavia i suoi spread sono più bassi. Credo che la ragione è che la gente crede che la Germania non lascerà mai andare la Francia”. Secondo la Germania, ha proseguito il premier, “se il mercato si costringe a pagare dei tassi piu’ alti per definizione questo significa che non si e’ fatto abbastanza per la propria economia”. Una visione, secondo Monti “che riflette i timori di un affossamento dell’euro”.
Ma non solo di Berlusconi e della Germania ha parlato Monti il mese scorso al quotidiano economico che ne ha tessuto le lodi definendolo “un’anomalia in Europa: un leader non eletto chiamato a realizzare quei cambiamenti impopolari che i politici si rifiutano di fare”. Ce n’è stato anche per gli italiani, la cui mentalità il premier si augurava di cambiare, “non sostituendola con quella tedesca, ma ci sono degli aspetti – come la solidarietà spinta a livello di collusione – che sono alla base di comportamenti come l’evasione fiscale”. Anche perché ”le riforme fatte finora dal governo non bastano a rimettere l’Italia in forma, occorre che mettano bene radici nei comportamenti degli italiani in modo da sopravvivere anche a governi vecchio stile”. Un pensiero, poi, per i sindacati, ai quali il presidente del consiglio, interpellato dal giornalista sul frequente ricorso dei governi italiani al negoziato con Confindustria e sindacati ricorda di aver “sempre ritenuto che la concertazione sia stata una pratica utilizzata in modo troppo esteso in passato”, anche perché “è come il dentifricio: se non lo chiudi, finisce tutto fuori”.
Premesse in linea con la conclusione. “La mia aspirazione non è essere amato. Ma è che il mio Governo sia rispettato e credibile”, ha chiosato sostenendo che “il mio lavoro ha trasformato la mia popolarità, che all’inizio era al 72% e ora è al 40%, in impopolarità a causa delle necessarie misure. Qualcuno dice che abbiamo fatto di meno sulle liberalizzazioni perché non volevo essere odiato dai farmacisti; questo non è vero. Io ho dovuto calcolare quel minimo consenso di cui avevo bisogno tra i partiti politici italiani per poter far passare le leggi”. Non solo. “So che noi non siamo riconosciuti come salvatori della Patria. Ma sono convinto che abbiamo salvato la situazione e so che stiamo parlando con Merkel, Obama e Hollande su come andare avanti invece di essere a Roma a ospitare la troika”. Alle critiche di aver negoziato troppo con la classe politica Monti ha invece fatto l’esempio di Obama “che lo fa tutto il tempo”. “Ci sono persone – ha detto – che pensano che i partiti siano in tale cattiva forma che non ci metterebbe mai sotto in Parlamento. Io però non ne sono sicuro perché l’esito di un voto parlamentare può in certe circostanze essere imprevedibile. Se le misure che io decido andassero sotto in Parlamento che cosa succederebbe? Devo prendermi io questa responsabilità. Sarebbe come mettere avanti il mio interesse – ovvero quello di non parlare con i partiti – all’interesse nazionale”.
Immediate le reazioni della controparte politica. ”Capiamo che puo’ risultare sgradito il fatto che il saliscendi degli spread sta avvenendo anche durante il suo governo e che ciò può averlo innervosito, ma questo non giustifica una provocazione tanto inutile quanto stupida che rinviamo al mittente”, ha replicato a stretto giro il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto. ”Mentre il Parlamento vota fiducie a raffica sarebbe bene che il comportamento di Monti fosse più equilibrato e rispettoso. Ci si potrebbe anche stufare prima o poi”, gli ha fatto eco Maurizio Gasparri. La dimostrazione è arrivata subito dopo con i deputati del Pdl che hanno fatto andare sotto il governo su un ordine del giorno del decreto per la spending review sulle risorse da destinare a giustizia e sicurezza. “Lo abbiamo fatto apposta – ha spiegato il tesoriere del gruppo Pietro Laffranco – per protesta contro le parole di Monti su Berlusconi. Ha detto una sacrosanta sciocchezza e noi abbiamo voluto lanciare un segnale”. Poco dopo al Senato il Pdl ha fatto mancare il numero legale nell’aula del Senato per ben quattro volte. In base al regolamento questo certifica la fine della seduta che è anche l’ultima prima della pausa estiva la presidente di turno Emma Bonino ha riconvocato l’aula per il 6 settembre. La situazione si è fatta quindi talmente incandescente che Monti ha dovuto chiamare Berlusconi per tentare di ricucire dicendosi “dispiaciuto che una banale e astratta estrapolazione di tendenza di valori dello spread contenuta in un colloquio di ampio respiro con il WSJ, sia stata colta come una considerazione di carattere politico, il che non rientrava per nulla nelle sue intenzioni”, come ha riferito una nota di Palazzo Chigi.