Riassunto della puntata precedente: il solo deficit democratico dell’Ue è, a mio avviso, legato al fatto che mentre i leader si parlano, negoziano e decidono insieme sempre più frequentemente, le opinioni pubbliche (cioè noi) continuano a vivere segregate in compartimenti stagni e quindi ad essere facile preda di verità distorte e accomodate a piacimento. Si aggiunga, ciliegina sulla torta, che di giornalisti in grado di capire e raccontare al di là dei comunicati ufficiali io in giro non ne vedo molti.
Lasciatemi fare un esempio “alla Di Pietro”: una signora fiamminga intervistata per strada ha recentemente dichiarato: “il prosciutto di Parma proprio mi fa schifo; con tutto quel grasso lo trovo disgustoso“. Chiunque abbia vissuto qui abbastanza a lungo sa che non bisogna biasimare la signora: la sua esperienza del prosciutto di Parma, in Belgio, è con tutta probabilità effettivamente tale da giustificare il suo disgusto. E purtroppo per lei (e per il consorzio prosciutto di Parma) non conosce affatto il prosciutto di Parma che conosciamo io e voi. Non è questione di gusti, ma di frontiere (culturali).
Fuor di metafora (e scusate il livello da bar sport), non mi stupisce che molti trovino l’Unione europea repellente come il prosciutto di Parma per la signora: non la conoscono, e quello che è stato loro propinato è effettivamente indigesto.
Come se ne esce (non per il prosciutto, ma per l’Ue)? Io propongo di iniziare con qualche accorgimento facile facile.
Per esempio: prendere la redazione di un giornale più attento degli altri a raccontare la realtà – avete presente “Quello che gli altri non dicono?” – e provare a collaborare con altri giornali per raccontare il punto di vista dei nostri vicini, degli stranieri.
Forte, no? Si può fare anche in austerità, cominciando con l’esplorare le testate degli altri Paesi, magari scrivendo qualche articolo post-vertice a quattro o più mani con giornalisti tedeschi, francesi, inglesi, estoni… ci vorrà qualche traduttore o interprete in più o qualche corso di lingua per i giornalisti più dinamici, ma ha il potenziale di fare breccia nel mondo dell’informazione stagna. Ho visto qualcosa di simile su La Stampa durante le vacanze e, nonostante la pessima traduzione dei tre o quattro pezzi di opinionisti stranieri, era sicuramente la pagina più interessante del giornale.
Da qui in poi the sky is the limit e ho un sogno: accendere la televisione l’estate prossima e al posto – beh, non esageriamo, diciamo oltre alle porcherie che vedo quest’estate, vedere opinionisti stranieri spiegare cosa pensano le loro opinioni pubbliche di noi, delle decisioni prese, e perché. E poi vedere la stessa cosa fatta al contrario: nostri giornalisti e intellettuali andare ospiti di trasmissioni e giornali esteri a spiegare il nostro punto di vista e rompere il muro dell’omertà che permette ai nostri leader di fare una cosa e annunciarne un’altra.
Forse questa è l’Unione politica che ci vorrebbe. È sicuramente quella che io vorrei.
Per cominciare bisognerebbe che il Fatto sentisse la voce di suoi lettori chiedere l’inizio di questo esperimento. Vi chiedo dunque di fare sentire la vostra voce, a favore o contro. È estate, e farò del mio meglio per partecipare al dibattito.
Grazie.
Disclaimer: Come riportato nella bio, il contenuto di questo e degli altri articoli del mio blog è frutto di opinioni personali e non impegna in alcun modo la Commissione europea.