Dal 2014 in Emilia Romagna niente più appalti a scadenza, ma un contratto duraturo che vincolerà i gestori a rispettare una serie di parametri per mantenere la delega sull’intero servizio. Tutto come prevede la contestata delibera regionale 514 del 2009
Per quella data infatti i Comuni porteranno a compimento l’accreditamento definitivo dei soggetti, pubblici o privati, a cui affidare la gestione di determinati servizi socio-sanitari che vanno dall’assistenza agli anziani ai disabili. Niente più appalti a scadenza e avvicendamento di cooperative dunque, ma un contratto duraturo che vincola i soggetti gestori a rispettare una serie di parametri per mantenere la delega sull’intero servizio, come prevede la delibera regionale 514 del 2009. Inoltre i servizi socio-sanitari non vedranno più sistemi di gestione mista, ma pubblico e privato saranno separati e avranno gli stessi doveri.
Il provvedimento interesserà tutte le province in maniera diversa, ma da Parma c’è chi punta il dito contro lo smantellamento del sistema del welfare. Secondo Vincenzo Tradardi, ex presidente di Asp Bassa est San Mauro Abate (una delle cinque attive nella provincia di Parma), l’obiettivo della Regione è quello di affossare le Asp, aziende pubbliche di servizi alla persona che dal 2008 hanno preso il posto delle Ipab (istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza). “A quel punto – accusa Tradardi – sarà più che naturale chiedersi perché mai mantenere ancora in piedi le Asp. Perché continuare in sostanza con questa “frammentazione” se in definitiva tutto può essere esternalizzato e privatizzato?”
Il report del 20 ottobre 2011 della Direzione Generale Sanità e Politiche sociali della Regione parla infatti chiaro: entro il 2014 il privato gestirà oltre il 74 per cento dei servizi totali, mentre al pubblico e alle Asp (che in Emilia Romagna sono 44) rimarrà circa il 26 per cento. “Non si tratta di un obiettivo che abbiamo dato come Regione – replica l’assessore regionale alle Politiche sociali Teresa Marzocchi – ma della lettura dei dati del monitoraggio sulle Asp che provengono da precise scelte dei Comuni, che definiscono il fabbisogno dei servizi e il rapporto tra pubblico e privato. In ogni caso è sbagliato parlare di esternalizzazione: quello che abbiamo fatto con l’accreditamento è una scelta politica di una forma di gestione integrata tra pubblico e privato, che abbiamo portato avanti, come previsto dalla legge quadro 328/2000 sui servizi sociali e dalla legge regionale 2/2003. Saranno i Comuni ad avere comunque il controllo finale sui servizi”. Un percorso che, annuncia l’assessore, “faremo per tutti, non solo per i servizi socio-sanitari, perché in questo modo si garantisce continuità e qualità”.
In questo processo però Tradardi individua altri responsabili: non solo la Regione, ma anche i Comuni e la Cgil, che proprio a Parma qualche settimana fa aveva organizzato un convegno sul futuro delle Asp alla presenza dell’assessore Marzocchi, e che avrebbe dato il benestare alla “privatizzazione”.
“Abbiamo condiviso lo spirito e il principio della delibera della Regione perché in questo modo si porterà a uno standard omogeneo i servizi di tutte le strutture, migliorandoli – taglia corto il segretario generale Cgil Parma Patrizia Maestri – La Cgil attraverso Fp e Spi inoltre monitorerà che la legge venga applicata in modo corretto e che si rispettino i criteri di qualità”, mentre il segretario Fp Cgil Paolo D’Agostino ha sottolineato come la titolarità della scelta tra pubblico e privato non derivi dall’impianto di accreditamento, ma “da scelte politiche effettuate dai singoli Comuni, sia di centrodestra che di centrosinistra, senza aver mai prima consultato il sindacato”.
Ad attaccare sindacato e Regione è anche l’associazione Carta Canta, che da anni si occupa della tutela dei diritti delle persone non autosufficienti, e che chiede se la volontà sia quella di arrivare a una completa esternalizzazione/ privatizzazione dei servizi sociali. “In realtà l’accreditamento è uno strumento per regolare i rapporti tra pubblico e privato in modo trasparente, dando garanzie agli utenti, ma anche ai lavoratori del pubblico e delle cooperative” puntualizza Daniela Bortolotti, della Cgil regionale.
A chiedere chiarezza è anche il Movimento 5 stelle: “In commissione Sanità il tema non è ancora stato trattato, ma chiederemo di farlo al più presto – dichiara il consigliere regionale Andrea De Franceschi – Siamo contrari a queste logiche, anche se ultimamente stiamo assistendo a una tendenza alla dismissione dei servizi pubblici per trasferirli ai privati”.
Contrario al cambiamento è anche Luigi Giuseppe Villani, consigliere regionale Pdl: “In questo modo si taglia il principio di sussidiarietà e si creano queste pseudo-aziende, le Asp, che nascondono molte ombre – spiega – Invece di spingersi ancora più in là con l’accreditamento, sarebbe necessaria una revisione della legge”. Senza contare poi che “con le Asp si è creato un ulteriore carrozzone che serve alla Regione per controllare il capitale del territorio e anche per piazzare qualche poltrona”. Il consigliere chiede a proposito una revisione degli stipendi dei vertici delle Asp, già oggetto di un’interrogazione presentata con il collega del Pdl Andrea Leoni.
Del resto, i numeri parlano chiaro: le indennità dei presidenti in media si aggirano intorno ai 21mila euro annui, mentre i gettoni di presenza superano i 6mila euro. E i compensi dei direttori non sono da meno. Nelle sole Asp della provincia di Parma il costo annuale di un direttore si aggira tra gli 86mila e i 132mila euro, poco meno di quello del direttore generale Ausl della stessa provincia (173mila euro), che è al vertice dell’intero sistema sanitario territoriale. A Imola si arriva addirittura a un totale di oltre 187mila, per una media regionale di 95.992 euro per ognuno dei 39 direttori di Asp, e per un costo totale dei vertici delle aziende di oltre 5 milioni.
“Il tema compensi, così come il resto, sarà oggetto di un altro momento di confronto sulle Asp che si terrà a ottobre, in cui faremo il punto della situazione – commenta l’assessore Marzocchi, che conclude con una riflessione – Il vero problema su cui interrogarsi è quanto riusciremo a gestire ancora il settore con i vincoli di assunzione sul pubblico e se, dopo i tagli delle precedenti manovre e la revisione della spesa, potremo garantire il welfare a tutti i cittadini”.