Nel passato veniva chiamato "lipstick index". Ora un'indagine lo conferma: nei momenti di recessione economica le consumatrici investono di più in prodotti di bellezza considerati “irrinunciabili per superare le fasi di criticità"
Cosmetici come antidepressivi. Così accadde durante la crisi economica del ’29 quando i rossetti andarono a ruba e lo stesso si avverò anche dopo la recessione del 2000 e la tragedia dell’11 settembre, soprattutto negli Stati Uniti, dove i produttori di cosmetici videro lievitare i loro fatturati. Un fenomeno che il signor Leonard Lauder, fondatore del celebre marchio cosmetico, battezzò come “lipstick index”, rilevando l’eccezionale aumento delle vendite di prodotti di bellezza in periodi di difficoltà economiche.
Tutto confermato anche oggi in Italia: da un’indagine condotta su duemila consumatori da Ermeneia, società di studi e strategie di sistema, con il patrocinio di Unipro, Associazione italiana delle imprese cosmetiche, risulta che il 40 per cento dei compratori ha comprato più cosmetici nel 2011, spendendo di più rispetto al 2010. Il 20 per cento di questi adduce come motivazione degli acquisti la necessità di “tenersi su”. Un trend che sarà non solo confermato, ma incrementato nel 2012 quando il 38,4 per cento degli italiani spenderà di più in prodotti di bellezza rispetto all’anno passato, il 23,8 per cento investirà la stessa cifra mentre il 36,8 per cento diminuirà le spese ma comprerà comunque i cosmetici che considera “irrinunciabili per superare i momenti difficili”.
“La crisi non ha cambiato le mie abitudini di spesa per questi prodotti, perché alla propria bellezza non si può e non si deve rinunciare soprattutto in periodi di difficoltà” dichiarano gli intervistati. Mai come ora sembra una prerogativa ricordarsi ‘che io valgo’ di televisiva memoria. “Un valore fittizio, perché abbiamo sempre meno cognizione di ciò che effettivamente ci serve – afferma Dafne Chanaz, giornalista e autrice del libro “Fare in casa cosmetici naturali” – La pubblicità propone qualunque cosa e il suo contrario ad un consumatore sprovvisto di informazioni tecniche, ma anche di buon senso. Un consumatore che nella maggior parte dei casi compra confezioni e non prodotti. Abbiamo confuso l’idea di essere felici con quella di essere belli. In realtà la felicità sta proprio nel superamento delle barriere dell’ego e nel dimenticare i confini del nostro corpo per metterci in contatto con gli altri e con il mondo”.
E che la corsa alla bellezza esteriore sia solo una distrazione temporanea, che lenisce ma non cura, lo dimostra il fatto che all’aumento delle vendite dei cosmetici fa da contraltare anche quello degli antidepressivi. “In un momento storico in cui la bellezza non coincide più con il benessere ma con uno status symbol, con il desiderio di allontanare la morte, questi dati non stupiscono – dichiara la dottoressa Pucci Romano, cofondatrice dell’Associazione internazionale di ecodermatologia Skineco – Soprattutto se si considera che ultimamente si sta rinnegando la chirurgia plastica selvaggia, che nel recente passato ha avuto molta fortuna”.
Ma un’estetica “etica” è possibile, cominciando a sfatare molti miti e messaggi ingannevoli sui cosmetici. Per esempio recentemente l’American academy of dermatology, in un bollettino, ha dichiarato che l’utilizzo di benzofenone, filtro chimico contenuto in molti prodotti di protezione solare, è associato ad un incremento del rischio di endometriosi, così i ricercatori del Valencia’s University Hospital hanno dimostrato che i cosmetici sono spesso causa di dermatiti da contatto e i petrolati, che si trovano sempre ai posti più alti dell’Inci dei cosmetici, sono definiti cancerogeni di classe 2. Alla lista si possono aggiungere anche i deodoranti contenenti sali di alluminio che, secondo l’Università di Ginevra, altererebbero le cellule mammarie, causando il cancro e il fatto che per legge i produttori di cosmetici possono scrivere “naturale” sulla confezione di prodotti che contengono solo lo 0,5 per cento di ingrediente vegetale.
“Sempre più i consumatori chiedono una guida, vogliono capire perché usare una cosa piuttosto che un’altra e in particolare chiedono la personalizzazione della cosmetica. Bisogna offrire un prodotto eticamente valido, che non infonda false speranze, ma che sia affine alla pelle e all’ambiente, senza cadere nelle trappole degli “eco-furbetti”. In questo senso è necessaria un’alfabetizzazione, che oggi passa anche attraverso il web e coinvolge in particolare le donne tra i 20 e i 40 anni e soprattutto le mamme”. La bellezza salverà il mondo, secondo Dostoevskij, che in una lettera alla nipote scriveva: “Tutti gli scrittori che hanno cercato di rappresentare il bello assoluto, hanno sempre fallito, perché è un compito impossibile. Il bello è l’ideale, e l’ideale, sia da noi che nell’Europa civilizzata, è ancora lontano dall’essersi cristallizzato”. Prima di lui i greci fecero coincidere il bello con il buono (Kalos Kai Agathose) e Platone definì il bello lo splendore del vero. Nessun riferimento a corpi torniti e visi spianati. Antichi!